DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Francesco Bonazzi per la Verità
Winston Churchill ripeteva spesso che «il migliore argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l' elettore medio». Non conosceva i nostri giudici costituzionali, che per un giorno e mezzo hanno incrociato le spade sulla legge elettorale voluta da Matteo Renzi e inopinatamente chiamata Italicum, come quel Capitulare Italicum che raccoglieva tutti gli editti dei re longobardi.
Il presidente della Consulta, Paolo Grossi, è un cultore del vero «Italicum», visto che è un insigne studioso del diritto medievale, e forse per un attimo, in queste ultime 48 ore, ha rimpianto di non poter affermare il diritto con la spada. Perché tra i 14 giudici sommi sacerdoti della Consulta, la spaccatura su che pesci prendere, con quella legge elettorale disegnata dall' ex premier a immagine e somiglianza dei propri trionfali destini, è stata profonda. Molto profonda.
SPIEGATO IL RITARDO
La nostra Corte costituzionale, caso raro tra le democrazie occidentali, non pubblica e non archivia, neppure per i posteri, le minute delle proprie discussioni. Ma in questo caso pare proprio che sia un bene. Se la sentenza è slittata di una mezza giornata è perché la discussione è stata fin troppo vivace. Il punto focale, secondo quanto risulta alla Verità, è stato quello dell' elezione dei capilista bloccati, considerato la «linea del Piave» dai renziani, guidati da Augusto Barbera.
Il relatore Nicolò Zanon, ex membro laico del Csm in quota centrodestra, avrebbe voluto intervenire pesantemente sulla materia, a costo di riscrivere la norma, ma ha dovuto arrendersi a una mediazione. E alla fine la Corte ha salvato i capilista bloccati, ovvero un simbolo dello scarpone chiodato che ogni singolo capo partito può usare per riempire il Parlamento di pletore di fedelissimi.
In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, per le quali bisognerà attendere un mese, non si può che interpretare come uno scambio tra renziani e non il fatto che la scelta dei numeri due nei vari collegi avverrà per sorteggio, anziché per scelta del capolista che opta per questa o quella circoscrizione. Su questo punto pare che si siano battuti con profitto i giudici centristi, a cominciare da Giulio Prosperetti. Del resto sono proprio i partiti più piccoli, come l' Ncd di Angelino Alfano, ad avere bisogno di candidare i propri leader dappertutto. E quindi ecco spiegato il sostanziale pareggio finale.
Ma la discussione è stata assai serrata anche sull' esigenza di scaraventare in soffitta il ballottaggio, uno strumento che nelle fantasie di Renzi avrebbe dovuto guidare l' Italia verso un presidenzialismo non scritto. Nelle attese della vigilia, si scommetteva sul fatto che Franco Modugno, di area grillina ma con grandi simpatie a sinistra, avrebbe fatto fuoco e fiamme per difendere il secondo turno.
I tutori del l' euro, capitanati da Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, ritenevano che il ballottaggio fosse il suicidio perfetto, ovvero il modo migliore per consegnare il Paese a Beppe Grillo e a Casaleggio II. E non a caso contro questo sistema che permette di vincere «soli contro tutti» si sarebbero espressi i giudici più fedeli a Re Giorgio, come Giuliano Amato, Daria De Petris e la vicepresidente Marta Cartabia, detta «Agnese» per la somiglianza con la moglie del Grande riformatore di Rignano sull' Arno. Missione compiuta.
Somiglianza Agnese Landini Marta Cartabia
Cancellare brutalmente il ballottaggio, però, è stato anche uno schiaffo sonoro a Renzi, che dopo il 40% intascato alle elezioni europee del 2014 pensava forse di imitare Benito Mussolini, che alle elezioni del 1924 conquistò con il Partito nazionale fascista il 64% dei voti con legge elettorale proporzionale, voto di lista e premio di maggioranza. Ricorda qualcosa? Ricorda molto il sistema che è rimasto dopo la sentenza dell' altroieri.
Anche perché il premio di maggioranza, invece, è bello intatto. Qui il dibattito tra giudici supremi è stato sui massimi sistemi e di scarso vigore, per il semplice fatto che tanto, in questa situazione tripartita e sondaggi alla mano, né Grillo, né Renzi, né Salvini sembrano in grado di raggiungere il 40% e di intascarsi un 15% ulteriore di maxipremio.
SUGGERIMENTO
Molto combattuta, invece, è stata la scelta più sorprendente, ovvero quella di scrivere apertamente nel comunicato stampa che la sentenza «è autoapplicativa». Un paio di ministri non esattamente entusiasti di votare in primavera l' hanno presa come una «violenza gratuita» e un «assist a Renzi di cui non si sentiva il bisogno». Ma tant' è. La precisazione è un evidente vittoria delle toghe filorenziane, ma non sposta il cuore della faccenda perché i due sistemi elettorali in vigore per Camera e Senato restano in ogni caso chiaramente non omogenei e il Parlamento deve dunque provare a intervenire, come ha fatto capire in tempi non sospetti Sergio Mattarella.
«Basta una legge con un solo articolo», ha argomentato perfidamente Giuliano Amato, mentre guidava l' operazione chirurgica su quel che resta dell' Italicum. E chissà se Renzi ora rimpiange di avergli sbarrato, due anni fa, la strada del Quirinale.
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