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1 - SIRIA, CAMERON: «PREPARIAMO PIANO MILITARE» LA BONINO: «ITALIA FUORI SENZA MANDATO ONU»
Da "Corriere.it"
La crisi siriana sta spingendo le varie diplomazie internazionali a schierarsi. Spinte dalle dure parole del segretario di Stato John Kerry nei confronti del regime di Assad. «L'Italia non prenderà parte a soluzioni militari al di fuori di un mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu» ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino alle Commissioni Esteri congiunte.
Ma da Londra arrivano segnali di un imminente attacco occidentale alla Siria: «Le forze armate britanniche stanno mettendo a punto un piano di emergenza nell'eventualità di una risposta militare al presunto attacco chimico in Siria» fa sapere Downing Street.
BONINO - «Si rafforza l'ipotesi che siano state le forze armate siriane a far uso di armi chimiche, sulla base di informazioni di intelligence che sono condivise dai partner e sulla base di testimonianze di operatori sanitari» ha spiegato la Bonino.
Che però ha poi precisato: «Non c'è soluzione militare al conflitto siriano» e bisogna andare nella direzione di una «soluzione politica».
DOWNING STREET - Ma nonostante le perplessità italiane un intervento militare sembra sempre più vicino: «La comunità internazionale deve rispondere al presunto attacco chimico in Siria» fa sapere per bocca di un portavoce il premier britannico David Cameron.
LA TURCHIA - E ai favorevoli ad un intervento militare (Usa, Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita) si aggiunge anche la Turchia che per bocca del ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha definito un «crimine contro l'umanità » a cui data «risposta» il presunto attacco lealista con armi chimiche del 21 agosto alla periferia est di Damasco, e ha ammonito che per la comunità internazionale si tratta di un «test» vero e proprio.
«Questo è un crimine contro l'umanità , e un crimine contro l'umanità non deve rimanere senza risposta», ha insistito Davutoglu. «Ciò che occorre sia fatto, va fatto. à chiaro che adesso la comunità internazionale si trova di fronte a un test», ha avvertito. Lunedì lo stesso ministro aveva affermato che la Turchia sarebbe pronta a unirsi a qualunque coalizione si formasse per intervenire militarmente in Siria contro il regime di Bashar al-Assad, anche qualora non fosse possibile raggiungere un ampio consenso al riguardo in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e dunque persino in assenza di uno specifico mandato Onu.
2 - NON SPINGETE L'ITALIA IN UN'ALTRA GUERRA INUTILE
Vittorio Feltri per "Il Giornale"
Chiunque, per quanto ci¬nico e indifferente, com¬prende la tragedia della Siria con i suoi morti ammazza¬ti, i bambini orfani, le città deva¬state da perduranti violenze. E chiunque avverte l'esigenza di non rimanere inerte di fronte al¬lo scempio. Ma la domanda che bisogna porsi, e che merita una risposta lucida, è la seguen¬te: cosa fare di concreto per aiu¬tare un popolo dilaniato dalla guerra civile? Gli Stati Uniti, sollecitati da più parti, meditano di interveni¬re militarmente. Anzi, hanno già deciso di mobilitarsi.
L'In¬ghilterra, loro cugina insepara¬bile, pensa di fare altrettanto. Ed entrambi i Paesi, manco a dirlo, chiedono all'Europa di partecipare alla spedizione, a parole umanitaria. Si può fare? Tutto si può fare, ma conviene? E conviene a chi? L'Europa non ha una politica estera condivi¬sa, ogni Stato membro pedala per conto proprio. La cancellie¬ra Angela Merkel, anche se si considera una regina, rappre¬senta solo se stessa ed è troppo impegnata in campagna elettorale per assumere la leader¬ship continentale.
Barack Obama ha ricevuto il Nobel per la pace senza aver fatto nulla per la pace, e ora crede di risolvere il proble¬ma siriano con le armi. Non gli è basta¬ta l'esperienza dell'Irak? Anche noi (io personalmente) ci illudevamo che fosse esportabile la democrazia in Pae¬si che non sanno neppure che cosa es¬sa sia. Oggi constatiamo che l'eredità di Saddam Hussein è stata gestita dai militari al peggio: la situazione a Ba¬gdad è disastrosa e minaccia di ulte¬riormente degenerare.
Dodici anni di combattimenti in Af¬ghanistan non hanno prodotto lo straccio di un regime accettabile. E ab¬biamo visto i risultati ottenuti in Libia: una guerra incomprensibile, chiama¬ta di liberazione, che ha portato all'uc¬cisione di Muammar Gheddafi, i cui successori si sono rivelati suoi epigo¬ni, forse più crudeli di lui. Noi italiani siamo stati costretti, tirati per i capelli, a scendere in battaglia e abbiamo ab¬bandonato sul campo contratti van¬taggiosi dei quali si è appropriata la Francia. Bell'affare.
Abbiamo sparpagliato contingenti di nostri soldati in mezzo mondo, dal Libano al Kosovo fino alla Somalia, spendendo montagne di miliardi sen¬za avere alcunché in cambio. Perdite, perdite, soltanto perdite. Di vite uma¬ne e di quattrini. E che dire dell'Egit¬to? Abbiamo ingenuamente salutato la deposizione di Hosni Mubarak co¬me l'inizio della primavera araba.
Ab¬biamo applaudito entusiasti ai rivolu¬zionari, convinti che grazie a loro il Medio Oriente sarebbe risorto, la¬sc¬iandosi alle spalle una tradizione se¬colare di dispotismo sostenuto da pre¬testi religiosi. Abbiamo sbagliato tut¬to e non abbiamo capito nulla di quel¬le terre infernali dove esistono solo il petrolio e un fanatismo malvagio e fe¬roce: terrorismo, teste tagliate, stragi.
Nonostante ciò continuiamo ad ave¬re la presunzione di possedere la forza per educare certa gente alla democra¬zia, piegandola agli schemi occidenta¬li, peraltro imperfetti, vecchi e stantii nonché bisognosi di profonde revisio¬ni. Non ci vengano a chiedere, statuni¬tensi e inglesi, di aderire a una grande alleanza per sconfiggere i cattivi che seminano odio e morte in Siria, quan¬do non siamo in grado di identificare i cattivi separandoli dai buoni. Chi so¬no i buoni e chi sono i cattivi?
Inutile e dannoso tuffarsi in acque torbide sognando di ripulirle con la nostra presenza di infedeli, giudicati tali, perlomeno, da coloro che vorrem¬mo soccorrere. Non abbiamo né i mez¬zi né la voglia di buttarci in un conflit¬to del quale vediamo gli effetti, ma ignoriamo le cause. Prima regola, non mettere il becco in casa d'altri. Secon¬da regola, certi contenziosi giova che siano i litiganti stessi a dirimerli secon¬do il loro stile. Una nostra ingerenza complicherebbe soltanto il raggiungi¬mento di una pace, fra l'altro improba¬bile.
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