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Fabio Martini per “la Stampa”
I resti di quel che fu il più potente partito comunista d’Occidente accolgono Matteo Renzi con un applauso rispettoso: appena il premier si affaccia nel catino dello storico PalaDozza di Bologna, dai duemilia sugli spalti si alza un battimani che dura venti secondi. Metà sala scatta in piedi a lanciare una standing ovation, che parte a metà.
Mezza sala resta seduta senza applaudire, chi per farsi un selfie, chi per curiosare e basta. Qualcuno isolato dal loggione urla «Matteoooo», ma neppure il coretto decolla. Calore, simpatia, ammirazione per Renzi, ma a volume basso, senza grande pathos. Almeno nella accoglienza iniziale.
Per non parlare dell’applauso di cortesia, freddino che accoglie il candidato governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, mentre l’uscente Vasco Errani è accolto come un eroe, per lui un lunghissimo battimani.
Sono le 21,50 e il premier-segretario, appena entrato nel parterre del Palasport di Bologna, per partecipare alla chiusura della campagna elettorale di Bonaccini, riscalda l’atmosfera: «Ho la sensazione strana di tornare a casa, quella che ti accompagna anche quando sei lontano». Ma c’è subito la battutina: «Non saranno mai contenti, loro, diranno che c’è stata troppo astensione... L’importante sarà essere contenti noi...». E più tardi, quando fa il suo discorso, Renzi da affabulatore, riscalda il Palasport
Nel giorno in cui Matteo Renzi ha sferrato il più sferzante attacco mai indirizzato verso i sindacati - si inventano gli scioperi mentre io creo posti di lavoro - era davvero interessante misurare l’impatto emotivo tra il premier-segretario del Pd e la sua base più “rossa”, quella più vicina alle grandi organizzazioni della sinistra, la Cgil, ma anche Lega delle cooperative e Cna.
Certo, per l’arrivo di Renzi, i quadri del partito hanno stressato la macchina organizzativa, tutti i circoli della Regione, da Piacenza a Rimini, sono stati invitati a dare il massimo. Sugli spalti sono arrivate duemilatrecento persone, con spazi vuoti anche rispetto ad una capienza che è stata dimezzata, da seimila a tremila posti.
Domenica in Emilia la posta in gioco non è la vittoria, che il Pd è sicuro di portare a casa. Tengono banco domande che sembrano da “anime belle” ma potrebbero preludere a risposte preoccupanti per il futuro prossimo: quanti emiliani di sinistra decideranno che non vale la pena andare a votare per “questi” politici? Il candidato governatore della sinistra riuscirà anche stavolta a superare il milione di voti o per la prima volta resterà sotto questa soglia politicamente critica? Gara minore alle elezioni di domenica in Emilia-Romagna, è quella per il secondo posto con la Lega, con Matteo Salvini si è quasi trasferito da queste parti, con la scritta “Emilia” sulla felpa a sostegno del suo candidato, il sindaco di Bondeno, il trentacinquenne Alan Fabbri.
In una campagna elettorale a volume bassissimo, con pochi manifesti, poche manifestazioni, la sinistra si è affidata al quarantasettenne Stefano Bonaccini, per anni campione del Pd bersaniano, il “Bruce Willis di Campogalliano” (come lo chiama Renzi in persona), che dopo aver tanto esitato a candidarsi, ha dovuto fare fronte al disastro dell’inchiesta sulle “spese pazze” dei consiglieri regionali, circa due milioni di euro pubblici da giustificare.
La “fortuna” per i candidati governatori è che nello scandalo sono finiti dentro quasi tutti, compresi grillini e leghisti e perciò sulla questione morale è calata una cortina di silenzio che ha vieppiù allontanato da tutta la politica una opinione pubblica disgustata. In una campagna elettorale segnata da clamorosi abbandoni, con Francesco Guccini che ha annunciato che voterà un candidato di Sel («Scelgo la persona») con Romano Prodi (la nipote candidata a Reggio Emilia), che ha fatto sapere: «Andrò a votare senz’altro», ma con una chiosa manzoniana: «Il buon senso restava nascosto per paura del senso comune».
renzi a bologna
proteste dei centri sociali a bologna contro renzi
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