SI PRESTO A DIRE DEMOCRAZIA – VARGAS LLOSA SU CUBA: ‘’LA STRADA DELLA LIBERTÀ RESTA MOLTO LUNGA – ANCHE CINA E VIETNAM SI SONO APERTE AL CAPITALE MA RESTANO NON DEMOCRATICHE’’

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Articolo di Mario Vargas Llosa per “El Pais” pubblicato da "La Repubblica"

FIDEL CASTRO E LA BANDIERA USAFIDEL CASTRO E LA BANDIERA USA

 

LA RIPRESA delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti dopo più di mezzo secolo, e la possibilità di una rimozione dell’embargo sono stati accolti con favore in Europa e negli Usa. E proprio negli Usa i sondaggi indicano che la maggioranza della popolazione approva questi sviluppi, nonostante l’opposizione dei Repubblicani.

VARGAS LLOSA E PATRICIA VARGAS LLOSA E PATRICIA

 

Gli espatriati cubani sono divisi: mentre tra le vecchie generazioni prevale la contrarietà, i più giovani vedono in questa misura una pacificazione da cui potrebbe derivare una maggiore apertura del regime, forse perfino una democratizzazione. In ogni caso, tutti concordano, come ha detto il presidente Obama, che «l’embargo è stato un fallimento».

 

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La lettura ottimista di questo accordo presuppone la rimozione dell’embargo, ipotesi ancora incerta perché una decisione del genere è legata all’approvazione del Congresso, controllato dai repubblicani. Ma se le autorità statunitensi togliessero l’embargo, sostiene la tesi, l’aumento dell’interscambio turistico e commerciale, l’investimento di capitali statunitensi sull’isola e lo sviluppo economico che ne conseguirebbe renderebbero sempre più flessibile il regime castrista, spingendolo a fare concessioni maggiori nel campo della libertà economica, e questo, presto o tardi, produrrebbe un’apertura politica e la democrazia. Un indizio di un promettente futuro sarebbe la liberazione di 53 prigionieri politici cubani avvenuta in concomitanza con l’annuncio della buona novella da parte di Raúl Castro.

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Avendo assistito negli ultimi decenni a fenomeni sociali e politici di ogni genere e di enorme portata, nulla sembra più impossibile e tutto quello che abbiamo descritto sopra potrebbe accadere. Sarebbe un caso unico nella storia di un regime comunista che rinuncia al comunismo e sceglie la democrazia grazie allo sviluppo economico e al miglioramento del livello di vita dei suoi cittadini prodotto dall’applicazione di politiche di mercato.

 

La spettacolare crescita economica della Cina non ha portato con sé la deliquescenza del totalitarismo politico: al contrario, come hanno appena sperimentato sulla loro pelle gli studenti di Hong Kong, lo ha rafforzato. Lo stesso si potrebbe dire del Vietnam, dove l’adozione di questo anomalo modello – il capitalismo comunista – oltre a stimolare una prosperità indiscutibile non ha intaccato la durezza del regime a partito unico e la persecuzione di qualsiasi forma di dissidenza.

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La caduta dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti centroeuropei non fu merito del progresso economico: fu il fallimento dello statalismo e del collettivismo che condusse quelle società alla rovina e al caos. Cuba rappresenterà l’eccezione alla regola, come spera la maggioranza dei cubani, e fra loro molti critici e oppositori del regime castrista? C’è da augurarselo, senza dubbio, ma non è il caso di credere ingenuamente che un esito del genere sia scritto nel destino e sarà inevitabile e automatico.

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Le dittature non cadono mai per effetto dell’abbondanza economica, ma per la loro incapacità di soddisfare le necessità più elementari della popolazione, e perché quest’ultima, a un certo punto, si mobilita contro l’asfissia politica e la povertà, smette di credere nelle istituzioni e perde le illusioni su cui si reggeva il regime.

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Il mezzo secolo e spiccioli di dittatura che affligge Cuba ha visto oppositori eroici nella loro disponibilità ad affrontare il carcere, la tortura o la morte, ma la verità – o perché l’efficacia della repressione lo impediva o perché le riforme introdotte dalla rivoluzione nel campo dell’istruzione, della medicina e del lavoro avevano portato miglioramenti reali nelle condizioni di vita dei più poveri e assopito il loro desiderio di libertà – è che il regime castrista in questo mezzo secolo non ha dovuto fronteggiare un’opposizione di massa, ma solo una flessione moderata del consenso quasi generalizzato su cui poteva contare inizialmente, e questo con l’impoverimento progressivo e la chiusura politica si è trasformato in rassegnazione e nel sogno di una fuga verso le coste della Florida.

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Non c'è da stupirsi se per quelli che avevano perduto la speranza, l’apertura di relazioni diplomatiche e commerciali con gli Stati Uniti con la prospettiva di milioni di turisti pronti a spendere i loro dollari sull’isola, con imprenditori e commercianti decisi a investire e creare occupazione, sia stata esaltante, l’illusione di una nuova alba.

 

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Raúl Castro, più pragmatico di suo fratello, sembra aver capito che Cuba non può continuare a vivere delle elargizioni petrolifere del Venezuela, seriamente a rischio ora che il prezzo del greggio è colato a picco e il governo di Maduro è in preda al caos. E ha capito che l’unica possibilità di sopravvivenza del suo regime nel lungo periodo è raggiungere una certa distensione e un accordo con gli Stati Uniti.

 

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Questa distensione è stata avviata. Il proposito del Governo cubano è senza dubbio – seguendo il modello cinese o vietnamita – di aprire l’economia (o quanto meno una parte) al mercato e all’impresa privata, per consentire un innalzamento del tenore di vita, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo del turismo: il tutto conservando il monolitismo politico e il pugno duro verso coloro che alimentano le aspirazioni democratiche. Può funzionare? Nel breve termine sì, senza alcun dubbio, a patto che l’embargo venga tolto davvero.

 

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Sul medio e lungo termine tutto questo non è così scontato. L’apertura economica e gli interscambi crescenti contamineranno l’isola con l’informazione e i modelli culturali e istituzionali delle società aperte, che contrastano in modo eclatante con quelli che il comunismo impone all’isola, e questo, prima o poi, incoraggerà l’opposizione interna.

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E a differenza della Cina o del Vietnam, che sono molto lontani, Cuba si trova nel cuore dell’Occidente e circondata da Paesi che – chi più chi meno – condividono la cultura della libertà. È inevitabile che la libertà finisca per infiltrarsi, soprattutto negli strati più illuminati della società. Cuba riuscirà a resistere a questa pressione democratica e libertaria come riescono a resistere la Cina e il Vietnam?

 

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Io spero di no, spero che il castrismo abbia perduto completamente la forza ideologica che ha avuto al principio e che in tutti questi anni si è trasformata in mera retorica, una propaganda in cui probabilmente non credono nemmeno i dirigenti della rivoluzione. La scomparsa dei fratelli Castro e dei veterani della rivoluzione, che gestiscono ancora il potere nel Paese, e l’ascesa ai posti di comando delle nuove generazioni, meno ideologiche e più pragmatiche, potrebbe facilitare quella transizione pacifica che prefigurano coloro che celebrano con entusiasmo la fine dell’embargo.

 

Mario Vargas LlosaMario Vargas Llosa

Ci sono motivi per condividere questo entusiasmo? Sul lungo termine forse sì, ma sul breve termine no. Infatti, nell’immediato chi trae più profitto dal nuovo stato di cose è il governo cubano: gli Stati Uniti riconoscono d’aver sbagliato cercando di piegare Cuba attraverso una quarantena economica ( el bloqueo criminal ), e ora contribuiranno con i loro turisti, i loro dollari e le loro imprese a risollevare l’economia dell’isola, ridurre la povertà, creare posti di lavoro: in altre parole, aiuteranno a puntellare il regime castrista. Se Obama visiterà Cuba, sarà ricevuto con tutti gli onori, sia dagli oppositori che dal governo.

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Niente di buono per la democrazia e la libertà. Ma la verità è che democrazia e libertà non erano un’opzione realistica in questo momento della storia cubana. La scelta era tra lasciare che Cuba continuasse a impoverirsi e che i cubani rimanessero immersi nell’oscurantismo, nell’isolamento informativo e nell’incertezza; oppure, grazie a questo accordo con gli Stati Uniti e sempre a patto che l’embargo venga effettivamente tolto, alleggerire il futuro immediato della popolazione, consentire ai cubani di godere di migliori opportunità economiche, aprire loro vie di comunicazione più ampie con il resto del mondo; e se si comportano bene e non si abbandonano, per esempio, agli eccessi degli studenti di Hong Kong, potranno godere perfino di una certa apertura politica. Pur se, a malincuore, sceglierei anch’io questa seconda opzione.

 

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Epoca confusa è la nostra, in cui avvengono cose che ci fanno rimpiangere quegli anni tesi della Guerra fredda dove almeno era molto facile scegliere, perché si trattava di decidere «fra la libertà e la paura» (per citare il libro di Germán Arciniegas). Ora la scelta è molto più azzardata, perché bisogna decidere tra il meno cattivo e il meno buono, e i confini non sono affatto chiari, ma elusivi e volubili. Riassumendo: mi rallegra il fatto che l’accordo tra Obama e Raúl Castro possa rendere la vita dei cubani più respirabile e regalare loro maggiori speranze, ma mi rattrista pensare che questo potrebbe allontanare di un buon numero di anni il ritorno della libertà nell’isola.

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