DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Carlotta Scozzari per Dagospia
Si scrive "bad bank", si traduce con "banca cattiva", ma si sta già trasformando in uno di quei bei "pasticciacci brutti" all'italiana ai quali purtroppo siamo assai abituati. Con il termine "bad bank" si intende una società a parte dove fare confluire la spazzatura degli istituti di credito, e quindi in larga misura la vera bestia nera di questi tempi: i prestiti che hanno scarse probabilità di essere restituiti.
Nel caso in cui le probabilità di restituzione siano basse o pressoché nulle, si parla con pregevole eufemismo di "crediti deteriorati": una zavorra da circa 300 miliardi per i conti degli istituti di credito nostrani. All'interno di questa categoria, poi, il caso più estremo è rappresentato dalle sofferenze, che dovrebbero pesare sui bilanci delle banche italiane per circa 170 miliardi. Un problema non da poco, specie se si considera che sono ormai alle porte i test della Banca centrale europea (Bce) che dovranno misurare la solidità degli istituti di credito europei. Una solidità che è minacciata e tende a ridimensionarsi quanto più sale l'incidenza delle sofferenze.
La questione potrebbe essere posta in questi termini: i bilanci delle banche italiane vanno al più presto puliti dai crediti deteriorati e per farlo bisogna dare vita a una società a sé o bad bank che compri dagli istituti di credito i prestiti malconci, a un prezzo ovviamente inferiore al loro valore nominale. Un punto su cui tutti, dalla finanza alla politica, sembrano concordare.
Peccato soltanto che si litighi sulle soluzioni da adottare nel concreto. In particolare, il dilemma è: la bad bank deve essere a partecipazione pubblica o privata? Fuor di metafora: i soldi per rilevare i crediti malconci delle banche li dobbiamo mettere noi contribuenti oppure gli istituti di credito possono arrangiarsi da soli?
E proprio su questo punto, in queste ore, sta andando in scena uno scontro ai vertici tra il numero uno della Banca d'Italia, Ignazio Visco e il premier Lettanipote. Visco, sabato, ha aperto a una soluzione mista tra pubblico e privato. Mentre il premier Enrico Letta, in una nota di qualche minuto fa, ha risposto "picche" al governatore di Bankitalia, spiegando che il governo "valuta positivamente iniziative anche di natura consortile di operatori di settore ma ritiene che a tale scopo non sia necessario l'impiego di risorse pubbliche nazionali o comunitarie".
In tale contesto, il segretario del Pd, Matteo Renzi, è alla finestra. Sembra, in particolare, che qualcuno dell'entourage di Renzie abbia spiegato all'aspirante premier la necessità di intervenire sul tema delle sofferenze, per evitare che accada come col Giappone degli anni '90, quando il paese del Sol Levante, in compagnia delle sue banche "zombie", cioè tecnicamente fallite, si avventurò in una stagnazione durata poi anni e anni.
Anche i grandi istituti di credito italiani storcono il naso davanti all'ipotesi di Visco di una bad bank a partecipazione statale: Intesa Sanpaolo si sta già preparando in casa una struttura simile, pronta ad accogliere crediti deteriorati di Ca' de Sass per 55 miliardi; mentre Unicredit sta via via cedendo a operatori esteri pacchetti di prestiti di difficile riscossione. I gruppi più piccoli, invece, dovrebbero fare confluire i propri crediti spazzatura in una struttura coordinata da Mediobanca, ma pur sempre privata.
A sostenere la linea di Visco sono invece le imprese, che intravvedono dietro l'ipotesi di una bad bank a partecipazione statale una possibilità più veloce e concreta per alleggerire i bilanci delle banche e fare ripartite il credito. "Siamo favorevoli - dice il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi - alla creazione di un fondo centrale di garanzia che consenta alle banche di rimettere in moto il motore del credito. A nostro avvisto è l'unica soluzione possibile per mettere in condizione gli istituti di tornare a prestare denaro alle imprese, dopo un biennio in cui la stretta dei rubinetti è stata tremenda".
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