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Maurizio Belpietro per La Verità
La differenza tra me e Vittorio Feltri è molto semplice: lui difende i suoi padroni e gli amici dei suoi padroni, io no. È sempre stato così e così continua a essere anche oggi che Feltri è tornato alla guida di Libero. Lo dimostrano i fatti che ci vedono contrapposti in questi giorni. Prendete la questione Consip, ovvero il maxi appalto pubblico per cui è finito in galera Alfredo Romeo.
Ammettiamo per un attimo, nonostante la circostanza non sia vera, che l' imprenditore agli arresti sia socio di minoranza del giornale che dirigo. Ebbene, La Verità ha sì o no pubblicato, e sta pubblicando, tutto ciò che riguarda Romeo e l' inchiesta dei magistrati di Napoli e Roma? Sì. Il nostro quotidiano non ha taciuto nulla, riportando fedelmente ciò che chi trova negli atti dell' indagine.
Anzi, in qualche caso ha persino preceduto il lavoro degli inquirenti, rivelando la fuga di notizie che ha permesso al padre di Matteo Renzi di sapere in anticipo che la Procura partenopea lo aveva messo nel mirino. Di questo scoop ci danno atto gli stessi inquirenti nel fascicolo giudiziario.
SALLUSTI FELTRI BELPIETRO FERRARA MARIO SECHI BERLUSCONI
E adesso veniamo a Libero. Il quotidiano diretto da Feltri ha pubblicato le notizie che riguardano Romeo, Renzi, Luca Lotti, Denis Verdini, Antonio Angelucci e tanti altri? No. Libero ha pubblicato solo lo stretto necessario e, quando lo ha fatto, non lo ha messo in prima pagina, come La Verità, con titoli d' apertura, ma lo ha accuratamente nascosto nelle pagine interne, riducendo gli articoli a francobolli e comunque cercando di minimizzare, se non di difendere gli indagati.
Perché Libero non s' è comportato come La Verità? Molto semplice: perché non poteva e non può farlo. Non può farlo perché Tiziano Renzi è il padre di colui che avrebbe dovuto aiutare l' editore di Libero a incassare fatture per centinaia di milioni di euro che la Regione Lazio, amministrata da Nicola Zingaretti (Pd), ritiene di non dover pagare.
VITTORIO FELTRI MAURIZIO BELPIETRO resize
Non può farlo perché Luca Lotti è l' ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio cui Matteo Renzi ha dato incarico di aiutare l' editore di Libero a risolvere i suoi guai. Non può farlo perché Denis Verdini è il tramite tra Luca Lotti e l' editore di Libero e, nel corso del solo 2015,ha organizzato una quarantina di incontri tra i due. Non può farlo soprattutto perché Antonio Angelucci è non soltanto l' editore di Libero, ma anche il proprietario di un impero comprendente cliniche, case di riabilitazione e lungodegenza, laboratori di analisi, hospice, che ha bisogno come l' ossigeno delle convenzioni, cioè dei soldi erogati dalle Regioni, nella fattispecie due, Lazio e Puglia, guarda caso entrambe guidate dal Pd.
Naturalmente non mi stupisce che Feltri si sia autoimbavagliato e nasconda le notizie che interessano il suo editore, preferendo parlare d' altro, ossia di me, di Romeo e Magna Carta. Feltri è stato per tutta la vita un coraggioso difensore degli interessi dei propri editori. Quando dirigeva Libero e ancora non si nascondeva dietro prestanome per paura delle querele, in quel giornale era impossibile parlar male di Gianfranco Fini e Massimo D' Alema, perché i due erano amici dell' editore.
Nel 2009, appena lasciò la direzione per ritornare al Giornale con il dichiarato intento di uccidere il quotidiano che aveva fondato nove anni prima, si strappò con coraggio il bavaglio che si era autoimposto e la prima cosa che fece, appena sbarcato nel quotidiano della famiglia Berlusconi, fu vergare un articolo di fuoco contro Fini che sapeva essere inviso al suo nuovo (e anche vecchio) padrone. Per quel che mi riguarda, una volta incaricato di salvare Libero dalla concorrenza che lo stesso Feltri scatenò contro la sua ex creatura allo scopo di incassare l' ingaggio pattuito per le copie rubate a Libero, non mi diedi molta pena per gli amici dell' editore.
Anzi, precisai ad Antonio Angelucci che con me Libero non avrebbe avuto amici ma solo lettori. Non a caso criticai senza sconti Fini e pure D' Alema, raccontando nel dettaglio non solo le giravolte politiche dei due, ma anche i fatti della casa di Montecarlo e la gita in barca che D' Alema aveva fatto insieme con Giampaolo Tarantini, l' imprenditore finito nei guai per la vicenda D' Addario-Berlusconi. Ovviamente ad Angelucci ciò non fece per nulla piacere e più volte cercò di invitarmi ad annacquare gli articoli, ma io non me ne curai. Un bel giorno addirittura pensai che mi avesse convocato a Roma per licenziarmi, ma siccome evidentemente anche lui si era reso conto che Fini sarebbe andato a sbattere, come poi accadde, alla fine rinunciò a cacciarmi e anzi mi fece i complimenti.
Dopo di che lo stesso Angelucci cominciò a invitarmi alla moderazione con Berlusconi, evidentemente diventato suo nuovo referente politico, nella speranza che, prima di Renzi, si occupasse lui delle sue fatture. Ma, pur essendo io anche un collaboratore di Mediaset, non ho certo nascosto i fatti che riguardavano il Cavaliere, pubblicando tutte le intercettazioni dell' inchiesta escort e attaccandolo duramente sulle misure economiche adottate dal suo governo, fino al punto di litigare con quasi tutti gli esponenti di centrodestra.
Oh, certo, anche Feltri ha coraggiosamente criticato Berlusconi, rottamando il leader di Forza Italia nel giorno dell' ottantesimo compleanno, e raccontando, immagino per fargli gli auguri, che una volta il Cavaliere, intrattenendolo ad Arcore con i suoi discorsi, gli provocò addirittura una terribile diarrea. Tuttavia lo ha fatto qualche settimana dopo aver lasciato Il Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, rea di non avergli offerto uno strapuntino in tv ma di averlo «solo» riempito di milioni, tanto da vantarsene a ogni piè sospinto.
Con coraggio Feltri ha anche cambiato opinioni a proposito del referendum costituzionale, divenendo un sostenitore sfegatato della riforma Boschi dopo esserne stato piuttosto critico sulle pagine del Giornale, quando ancora non era al servizio degli Angelucci e dei suoi amici. Renato Brunetta gli ha ricordato con un elenco dettagliato tutto ciò che aveva scritto e, appena diventato direttore di Libero, si era rimangiato. Ovviamente il nostro non ha fatto un plissé, rifiutando l' evidenza e sostenendo di aver ragione anche quando gli articoli gli davano torto. A un certo punto è giunto perfino a negare di essere il vero direttore di Libero e a usare un prestanome, respingendo con coraggio ogni responsabilità nell' aggressione a Brunetta.
Quando scoppiò il caso Etruria, essendo già in odore di direzione di Libero, corse in soccorso del ministro Maria Elena Boschi, prendendo le sue parti invece di quelle dei risparmiatori. Pover' uomo. Pensava di diventare il nuovo Indro Montanelli e invece è finito a fare Larry Semon, che, per chi non lo sapesse, in Italia è noto come Ridolini. Altro che Magna Carta. Magna Feltri. E soprattutto bevi.
Ps. Vittorio parla di gratitudine. Di certo non è la persona più adatta per dare lezioni in materia. Basti dire, che il giorno dopo aver lasciato Il Giornale che lo ha reso ricco, dichiarò in conferenza stampa che «il quotidiano di via Negri gli stava già sui coglioni», con grande apprezzamento non solo di chi lo aveva pagato per anni, ma soprattutto dei lettori che per una vita o quasi gli avevano creduto. Pietà.
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