XI L’HA VISTO? IL LEADER “RIFORMISTA” CINESE NELLA TENAGLIA DEI CONSERVATORI, RICCHI E CORROTTI

Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Il paradosso, secondo Wei Jingsheng, è tutto qui: «Il nuovo presidente cinese Xi Jinping sarebbe un riformista, ma proprio la lotta interna con i conservatori lo spingerà a prendere posizioni più aggressive sulla scena internazionale».

Wei è considerato il padre del movimento democratico nella Repubblica popolare, da quando nel 1978 pubblicò il manifesto «La Quinta Modernizzazione». Quella sfida diretta all'allora leader Deng Xiaoping gli è costata in totale 18 anni di prigione, fino alla deportazione negli Stati Uniti nel 1997. Lo incontriamo davanti al consolato cinese di New York, dove è venuto a guidare una manifestazione per l'anniversario del massacro di Tiananmen.

Chi è Xi, e in quale direzione guiderà la Cina?
«È un riformista, nel senso che ha capito la necessità di aggiornare il sistema economico e politico, prima che venga travolto dal malcontento della gente. Però si trova in una posizione molto difficile, perché è arrivato al potere durante lo scontro più duro di sempre nel Partito comunista».

Quale scontro?
«I conservatori ormai sono una cricca guidata dagli interessi economici, non dall'ideologia. Hanno fatto molti soldi, e con i soldi hanno acquistato ancora più potere. Questo gruppo dice che non si può dare più spazio al popolo, perché ne verrebbe solo il caos.

I riformisti rispondono che la gente è stanca, anche perché l'economia sta frenando, e se i politici non cambieranno il sistema corrotto al potere, il popolo si rivolterà e taglierà loro la testa, come durante la Rivoluzione francese. Questa però è la posizione di minoranza, e i conservatori minacciano di esautorare i riformisti, con l'aiuto dei militari, se cercheranno di toccare il sistema politico».

Che posizione prenderà Xi in questo scontro?
«Di natura sarebbe un riformista, ma da quando è al potere è sotto controllo e ha cambiato linguaggio. Basti pensare al fatto che dopo la nomina è sparito per due settimane, e nel frattempo la lista dei membri del Politburo è completamente cambiata. Lo hanno scelto proprio per le sue doti diplomatiche, ma trovare un compromesso fra le due fazioni sarà difficilissimo.

Credo che lui si stia lavorando soprattutto i militari, per evitare che vengano usati dai conservatori per neutralizzarlo. Poi, per riuscire nel suo progetto di riforma, ha bisogno del sostegno popolare e della corrente nazionalista, sempre più forte nella società cinese».

Che cosa comporterà questo sul piano internazionale?
«Dovrà prendere posizioni più dure, proprio per garantirsi il consenso interno di cui ha bisogno per realizzare le sue riforme. Se potesse, userebbe la diplomazia per risolvere i problemi, ma sa che non basterà.

I suoi predecessori, Jang Zemin e Hu Jintao, volevano solo lo status quo interno, e un'immagine decente sul piano internazionale. Xi vuole cambiare la Cina, e quindi avrà bisogno di una politica estera più dura».


Prevede tensioni su Corea del Nord, Siria e attacchi digitali?
«Non solo. Anche nella disputa per le isole contese con il Giappone, e nel Mar Cinese meridionale».

C'è il rischio di incidenti militari?
«Sì, perché nella storia i leader cinesi hanno sempre guadagnato autorità interna con la guerra».

Un rompicapo per Obama: da una parte, gli Usa preferirebbero il successo dei riformisti, ma dall'altra rischiano di doverlo pagare con un aumento delle tensioni.
«Xi vorrebbe l'appoggio di Obama, soprattutto sul piano economico, ma non può mostrarsi troppo vicino a lui, perché perderebbe l'appoggio dei nazionalisti sul fronte interno. Dovrà fare un gioco molto delicato, e pericoloso».

 

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