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XIAO XIAO AI DIRITTI IN CINA - È MORTO IL PREMIO NOBEL PER LA PACE LIU XIAOBO, SCARCERATO POCHI GIORNI FA SOLO PERCHÉ MALATO TERMINALE DI TUMORE AL FEGATO - DA TIENANMEN AL MANIFESTO CHARTER 08, CHE CHIEDEVA LA FINE DEL PARTITO UNICO, OTTENNE SOLO PERSECUZIONE E GALERA. DOVE SI TROVAVA ANCHE QUANDO RICEVETTE IL NOBEL
Il premio Nobel per la Pace cinese e oppositore Liu Xiaobo è morto a 61 anni. Era malato di un cancro al fegato, era stato scarcerato da pochi giorni proprio per le sue condizioni di salute critiche. Ha vinto il Nobel nel 2010 con disappunto della Cina che innescò una crisi diplomatica con la Norvegia.
Liu Xiaobo è stato uno dei simboli di piazza Tiananmen, la rivolta pacifica degli studenti contro il regime di Pechino. Il 4 giugno 1989, pochi mesi prima del crollo del Muro di Berlino, Liu Xiaobo diveniva il dissidente cinese più conosciuto al mondo quando dichiarò «Non abbiamo nemici».
Venti anni dopo sostenne e contribuì alla stesura di Charter 08, il manifesto pro democrazia che chiedeva la fine di un unico partito. Per questa iniziativa fu accusato e poi condannato di atti sovversivi contro i poteri dello stato. In quell’occasione riaffermò: «Non abbiamo nemici e non proviamo odio». La Bbc gli rende omaggio col titolo «L’uomo che la Cina non ha potuto cancellare».
Il comitato per il Premio Nobel, riferisce la Deutsche Welle su Twitter, accusa il governo cinese di avere una «responsabilità pesante» per la morte «prematura» del professore universitario dissidente.
Sette anni fa, Liu Xiaobo non potè partecipare alla premiazione a Oslo perché in un carcere cinese dove stava scontando una condanna di 11 anni per istigazione alla sovversione. La sua sedia vuota rimase vuota. Continuò a scontare la pena anche dopo il premio.
«Il popolo cinese e la grande maggioranza dei popoli del mondo si oppongono fermamente alla scelta del Comitato di Oslo, che si trova in minoranza» dichiarò in quell’occasione il governo di Pechino.
Quell’anno alla premiazione oltre al premiato mancarono alcuni Paesi, i rappresentanti di Russia, Kazakhstan, Tunisia, Arabia Saudita, Pakistan, Iraq, Iran, Vietnam, Afghanistan, Venezuela, Egitto, Marocco, Algeria, Sudan, Cuba e Autorità palestinese. Tutti accolsero l’invito del governo cinese a disertare contro l’«oscenità» decisa dall’Occidente.
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