Massimo Gramellini per corriere.it
lino banfi
Prima o poi la smania purificatrice doveva arrivare anche lì: a Lino Banfi che dice porcaputténa. Lo dice da quarant’anni, senza particolari conseguenze sulla psiche di svariate generazioni. Lo ha ripetuto Ciro Immobile in mondovisione dopo il primo gol agli Europei e ha portato pure bene. Ma adesso che a New York hanno tolto dal menu gli spaghetti alla puttanesca, non poteva durare.
Il Moige che invoca la censura per lo spot di Banfi è un capolavoro del grottesco. Prima tira in ballo fantasmatici genitori preoccupati dagli effetti del porcaputténismo su una prole cresciuta con i ditirambi dei rapper. Poi cita nientemeno che Nanni Moretti — «le parole sono importanti» — per spiegare che certe volgarità «sulla lunga sono controproducenti», anche se forse intendeva dire «alla lunga» (le parole sono importanti). Infine, notizia di ieri, spaccia esultante un programmato cambio di slogan — ogni episodio dello spot ne ha uno diverso, l’ultimo è «lapalissienemente» — per una vittoria della censura, intestandosi un demerito che non ha.
lino banfi allenatore nel pallone
Se proprio si volesse salvaguardare l’infanzia dalle oscenità degli adulti, basterebbe cominciare dai telegiornali. «Anche da noi chi parla in tv ha i fucili puntati addosso?» ha chiesto un bambino dopo avere visto le immagini del talk show talebano il cui conduttore era sotto il tiro di un manipolo di invasati. Col permesso del Moige è stato bello rispondergli: «No, perché qui siamo in democrazia e ci teniamo ancora alle apparenze, porcaputténa».
aristoteles URS ALTHAUS lino banfi MASSIMO GRAMELLINI banfi liedholm