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VIDEO – PARIGI CELEBRA JEAN PAUL GAULTIER
Cominciò tutto con Nana, un orsacchiotto ormai seriamente spelacchiato. All’inizio della mostra Jean Paul Gaultier, sulle ossessioni e le pazzie dell’enfant terrible della moda parigina, fa capolino proprio quel peluche, che Jean Paul stringeva fra le braccia da piccolo. Lui, però, ritagliò due piccoli coni di carta di giornale e li mise proprio lì, in corrispondenza dei seni. Sembra di vedere il bustier che molti anni più tardi disegnerà per Madonna. E che lei esibirà su tutti i palcoscenici del mondo, nel 1990, il mitico Blonde Ambition World Tour.
Tolleranza
L’esposizione, in programma fino al 3 agosto al Grand Palais, non è una semplice retrospettiva, ma un modo originale di raccontare uno stilista che ha flirtato costantemente con il mondo dell’arte. Non stupisce che sia stata ideata da un museo di Belle Arti, quello di Montréal. “Abbiamo contattato noi Gaultier: all’inizio non era convinto – racconta Thierry-Maxime Loriot, il curatore -. Poi gli abbiamo spiegato che volevamo fare una sorta di installazione, non una rievocazione funebre”. Anche perché lo stilista, che ha 62 anni, è vivo e vegeto. “Abbiamo messo l’accento sul messaggio forte che proviene dalle sue creazioni, di tolleranza e multiculturale”.
Gonna per lui
Gaultier realizzò il suo primo abito in assoluto nel 1971 (già shoccante, con i seni scoperti) per una modella mulatta, Aïtize Hanson. Capì che per far uscire Parigi dal provincialismo nel quale si trovava ingabbiata negli Anni 70 rispetto a Londra e alla sua effervescenza alternativa bisognava puntare su una particolarità, la mescolanza etnica e il multiculturalismo in senso largo.
Una sala della mostra si intitola “Punk cancan”, un’espressione dello stilista, per sintetizzare l’incontro di classe e anticonformismo, delle piume dei vestiti del Moulin Rouge con il cuoio dei punk inglesi. Alcuni capi scorrono su una pedana, commentati da una voce off (di “mademoiselle Deneuve”, così viene presentata). Ci sono una serie di must, come il tailleur “surprise” (del 2003, con la giacca non indossata ma appoggiata davanti) e la gonna da uomo dell’85 (ispirata dal grembiule dei camerieri parigini: quell’estate la comprarono più di 3 mila maschi!).
Manichini parlanti
In un’altra sezione l’artista canadese Denis Marleau ha concepito una serie di manichini che parlano, con le palpebre che sbattono e le labbra che sorridono. Uno di loro è proprio Jean Paul. Discorre del suo lavoro mentre gli altri intervengono: una scena surreale. Indossano abiti famosi, come quello della collezione Sirene, del 2008, con le squame dorate che fanno rumore mentre la mannequin si muove.
E poi un tripudio di magliette alla marinara, il capo feticcio di Gaultier, ispirato da “Querelle de Brest”, il film di Fassbinder. E rivisto a suon di piume di struzzo, perle, visone. Per i feticisti dei corsetti: una sala ne offre ogni declinazione. Non si spiega che, quando lo stilista iniziò a disegnarli, le femministe francesi lo contestarono, considerandolo un passo indietro. Mentre per lui era ormai un ironico simbolo post femminista.
La mostra è già stata presentata a Montréal e in altre città del mondo e ha attirato un milione e mezzo di visitatori. Ma l’edizione parigina è un’altra cosa, molto più grande. Tra le novità, una sezione più intima dedicata alle sue origini. E si scopre che l’impertinente Jean-Paul è nato ad Arcueil, anonima periferia sud di Parigi. In una famiglia di ceto medio, che l’ha amato tantissimo. Con una nonna che si stringeva in improbabili corsetti. Da bambino sognava la capitale, a pochi chilometri da dove abitava, attraverso i programmi tv in bianco e nero. Alla fine Jean Paul ha realizzato i suoi sogni.
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