TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA ANDATE A…
T.L. per roma.corriere.it - Estratti
giorgia meloni antonio tajani matteo salvini
«Sull’abolizione del canone Rai o siamo di fronte a una folgorazione, e quindi attendiamo che si scusi pubblicamente. O è la solita televendita di Matteo “Do Nascimiento”». Trattandosi dello stesso tema che ieri ha mandato in cortocircuito la sua maggioranza e soprattutto essendoci di mezzo un «Matteo», la frase di Giorgia Meloni, con tanto di rimando al mago che bazzicava le televendite di Wanna Marchi, sembra pronunciata ieri e indirizzata a Salvini.
In realtà l’attuale presidente del Consiglio pronunciò queste parole nel 2018, quando a chiedere l’abolizione del canone Rai era stato l’altro Matteo: e cioè Renzi, colui che da Palazzo Chigi s’era speso per abbassarlo e inserirlo nella bolletta elettrica, cancellando l’evasione.
Con quella mossa (...) Renzi si andava ad aggiungere a Luigi di Maio e allo stesso Salvini, che proprio in quel 2018 impressero a fuoco nei loro programmi futuri che il canone s’aveva da levare. Il primo, candidato premier dei Cinquestelle, s’era spinto oltre — «cancelleremo anche il bollo auto» — ma senza dar seguito alle promesse, anche perché da opposizione s’era fatto governo e farsi governo voleva dire un po’ farsi Rai.
Perché in fondo, lo insegna la storia, la Rai e il suo canone sono un po’ come il vecchio potere descritto da Giulio Andreotti nella sua celebre massima: logorano quelli che non ce l’hanno.
Lo spiegò benissimo Beppe Grillo, che più di una volta aveva congegnato a beneficio dei suoi seguaci dei trucchetti cripto-legali per non pagare, quasi a mo’ di tardiva vendetta contro l’azienda che l’aveva lanciato, salvo poi scaricarlo dopo la battuta sui socialisti cinesi. Ve n’è traccia sul suo profilo Facebook («Attenzione: ecco che cosa bisogna fare per non pagare il canone Rai», 30 giugno 2016), non più sul suo blog («La pagina che stai cercando non è presente»).
Nulla che Umberto Bossi non avesse già inventato trent’anni prima, quando era ancora il barricadero leader della Lega di lotta e non l’uomo che sul canone Rai si sarebbe ricreduto, predicandone il pagamento responsabile persino all’epoca della rivolta fiscale promossa contro Prodi. Il primo Senatur, durante l’edizione 1993 della Bèrghem Fest, ad Alzano Lombardo, disse dal palco che un buon leghista avrebbe dovuto dirottare il pagamento della cifra del canone su un conto corrente intestato al sindaco milanese Formentini, «che chiederà una rete per il Nord».
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