Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
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Roma e Juventus già avanti, a beccarsi in un pollaio dove presto saranno le sole (si aspetta il Napoli, forse l’Inter) a farlo. La non banale differenza rispetto all’inizio delle ultime stagioni è che la Roma sembra la Juventus e la Juventus sembra la Roma, più Higuain.
Più squadra che gioca sullo spartito della memoria la banda di Spalletti, più improvvisazione e somma di lampi estemporanei quella di Allegri, e intervalli di buio non giocato, pur sempre contando sulla sua anima forte, i quattro là dietro.
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E’ vero, Buffon e compagni fecero una partenza da schifo lo scorso anno, ma l’idea era quella di una squadra abbottata, implosa, pur sempre una squadra. Con un centrocampo chirurgicamente rifatto, esci dalla clinica con un bel po’ di bende e l’idea eccitante ma anche pericolosa che puoi essere chiunque.
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Roma, come a Oporto, a due storie. Questa volta rovesciate. Inguardabile quella del primo tempo, nelle gambe il piombo del pomeriggio torrido e della partita di Champions. Obesa e lenta nel primo tempo. Travolgente nella ripresa.
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Il napoleonico Spalla s’inventa un paio di mosse tattiche, s’inventa soprattutto di far giocare Perotti che è un calciatore impressionante. Udinese schiantata in mezz’ora. Così, a mente, picchiando sui tasti oltre ogni limite di velocità, non mi sovviene di un giocatore che sia allo stesso tempo un esterno classico saltauomo e, nella stessa sagoma e negli stessi piedi, un raffinatissimo rifinitore a ridosso delle punte.
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Di solito, sei l’uno o sei l’altro. Se sei entrambe le cose, ci sta il fuoriclasse. Se aggiungi che Salah è già un folletto divino e che, sull’asse destro, l’accoppiata con quell’altro schizzo di Bruno Peres (buona la prima) minaccia lampi e tuoni, ecco si aggiungono altre clamorose risorse per una squadra che, davanti, era già letale lo scorso anno.
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Aggiungi che Dzeko sta ritrovando il piacere di essere Dzeko, in più una voglia belluina che non è nella sua paciosa natura. Aggiungi che Leo Paredes, sosia in bello del Michael Pitt nelle sue versioni cinematografiche più diaboliche, vedi su tutte “Funny Games” di Haneke, sta diventando a 22 anni un giocatore di regia importantissimo, aggiungi che Manolas c’è sempre e tutto il resto, sparso tra infermeria e panchina, l’idea è che la Roma c’è e ci sarà sino in fondo.
La Juventus rischia di non vincere contro una Fiorentina appena decente, ma poi vince perché si chiama Juventus. Fa vedere sprazzi sublimi nel solito Dybala e, soprattutto, credeteci, in Asamoah, un fenomeno di tecnica e corsa il ghanese, bastonato negli ultimi due anni da ogni tipo d’infortunio. Bene anche Khedira, altro maltrattato dalla cattiva sorte, nel suo caso muscolare, uno che pare compassato se non lento, ma pensa veloce e soprattutto pensa bene.
Bene anche Dani Alves al suo debutto, appena solo un po’ spaesato dal non ritrovarsi accanto Messi e Iniesta. Dietro, inutile dirlo, mettono su panza, gobba, rughe, s’incurvano e si rabberciano, ma restano sempre il miglior blocco difensivo del mondo.
Se poi Panza Gonzalo ci mette cinque minuti, dal suo ingresso, per firmare il suo primo sfregio da juventino, con tutte le Madonne che vengono giù a Napoli, le cose allora sembrano volgere per il verso giusto anche dalle loro parti. Se poi Dentone Allegri riesce anche ad assemblare in tempi brevi sintonie e armonie di mezzo campo, allora facile che vedremo lo stesso, maledetto copione.
Per ora, la vera grande differenza tra le due è che l’Olimpico è uno stadio alopecico, malato, svuotato da tifosi troppo autoreferenziali per definirsi tali, lo Juventus Stadium è una festa permanente. Queste cose contano.
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