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I PRONTO SOCCORSO AL COLLASSO: “SE IL RITMO DI AUMENTO DEI CONTAGI RESTERÀ QUESTO, ENTRO LA SECONDA SETTIMANA DI NOVEMBRE SI SATURERANNO LE TERAPIE INTENSIVE IN QUASI TUTTE LE REGIONI” - “ALCUNI SIAMO GIÀ COSTRETTI A TENERLI NELLE AMBULANZE IN ATTESA DI UN POSTO. IERI UN CODICE ROSSO LO ABBIAMO INTUBATO DAVANTI ALL'INGRESSO" - "A MARZO LA GENTE AVEVA PAURA ED EVITAVA GLI OSPEDALI, ORA SI SONO ABITUATI A CONVIVERE CON IL VIRUS E VENGONO IN MASSA, SPESSO ANCHE SE POTREBBERO FARNE A MENO”
Niccolò Carratelli per “la Stampa”
Fare di tutto per evitare il collasso del sistema sanitario. È questo l'obiettivo principale del governo, più volte sottolineato dal premier, Giuseppe Conte, e dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Ma in realtà, in diversi ospedali italiani, è un obiettivo già fallito. «La situazione è gravissima, con pronto soccorso e reparti intasati e il 118 subissato di chiamate», dice Carlo Palermo, segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri, l'Anaao-Assomed. Se il ritmo di aumento dei contagi resterà questo, «entro la seconda settimana di novembre si satureranno le terapie intensive in quasi tutte le regioni, mentre sono già in grande sofferenza i posti nei reparti Covid ordinari e nelle sub-intensive».
Di fronte a questo scenario, il nuovo Dpcm «è un punto di equilibrio tra esigenze economiche e sanitarie, ma potrebbe non bastare». Per i medici rappresentanti dell'Anaao impegnati sul campo, negli ospedali delle grandi città, è già chiaro che non basta. Il dottor Maurizio Cappiello è reduce da una notte di turno al pronto soccorso del Cardarelli di Napoli, «13 ore e mezzo consecutive, 60 pazienti visitati, non sappiamo più dove metterli», spiega.
Il problema è che in primavera, complice il lockdown, c'era stata una riduzione degli accessi per altre patologie, mentre ora «c'è tutta l'ordinaria amministrazione più i casi Covid, alcuni siamo già costretti a tenerli nelle ambulanze in attesa di un posto. Ieri un codice rosso lo abbiamo intubato davanti all'ingresso». Ormai a Napoli gli operatori del 118 sono costretti a lasciare a casa i pazienti: «Quelli meno gravi, magari più giovani, che possono cavarsela con una maschera per l'ossigeno, non ce li portano nemmeno».
Al Cardarelli la terapia intensiva e la sub-intensiva sono piene, ma c'è carenza di letti anche nei reparti: «Riconvertirli in reparti Covid non risolve il problema, lo sposta, bisogna aggiungere letti - spiega Cappiello - e al pronto soccorso per andare avanti servirebbero 10-12 medici in più». Se l'aumento esponenziale dei contagi e dei ricoveri resta questo, la sentenza è scritta: «Napoli finirà come Bergamo, per evitarlo credo che l'unica soluzione sia un lockdown totale».
Perché la sensazione di essere sotto assedio è forte, anche al San Camillo di Roma, dove «il Pronto soccorso è esaurito e abbiamo dovuto riaprire di corsa tre reparti Covid in tre giorni», racconta il cardiologo Sandro Petrolati. «Sapevamo che saremmo andati in crisi - dice - ma non così presto, con tutto l'inverno ancora davanti». L'ultima settimana è stata drammatica, «abbiamo fatto i salti mortali per seguire anche i pazienti non Covid e garantire le visite programmate, ma non so per quanto ancora ce la faremo».
Il problema, e il paradosso, è che «a marzo la gente aveva paura ed evitava gli ospedali, ora si sono abituati a convivere con il virus e vengono in massa, spesso anche se potrebbero farne a meno». Stessa constatazione da parte di Giulio Porrino, delegato Anaao e medico al Pronto soccorso de Le Molinette a Torino: «È una marea montante - ammette - in una settimana abbiamo triplicato i ricoveri Covid, da 30 a quasi 100, magari sono pazienti meno gravi, ma dobbiamo comunque ricoverarli e lo spazio non basta».
C'è poi un problema concreto di sicurezza all'interno del Pronto soccorso, perché «garantire il distanziamento è quasi impossibile e, in attesa dell'esito dei tamponi, i contatti a rischio sono inevitabili». Le criticità sono troppe per affrontarle tutte, anche in un ospedale all'avanguardia come Le Molinette: «Noi siamo forti rispetto ad altre strutture, in particolare del Sud - dice Porrino - ma ad un raddoppio dei ricoveri ogni due o tre giorni nessuno può resistere. Ora siamo in affanno, ma quando noi andremo in crisi, molti altri ospedali saranno già collassati».
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