DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratto dell’articolo di Massimo Falcioni per www.tvblog.it
Lasciare tutto e cambiare vita, quando sei all’apice. E, come se non bastasse, farlo dall’altra parte del mondo, staccandosi da amici e parenti. “Tutti mi dicono che ho avuto coraggio, ma secondo me ci vuole più coraggio nel continuare a condurre un’esistenza che non ti fa felice”, spiega Simone Corrente a TvBlog. […]
Classe 1975, Corrente deve la sua popolarità soprattutto a Distretto di Polizia, dove per undici stagioni ha dato volto, voce e anima all’agente Luca Benvenuto. In precedenza c’era comunque stato molto altro. […] La svolta, quella vera, si palesò poco dopo grazie a Stefano Reali, che lo volle nel film tv Cuori in Campo […]
Luca, il tuo personaggio, modificò il cognome in corsa.
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Nella prima stagione si chiamava Benvenuti. In seguito lo modificarono, se non erro per via di una segnalazione di un omonimo agente di polizia.
Luca era un poliziotto omosessuale. Per una fiction di inizio millennio si trattò di una mezza rivoluzione.
Lo spunto arrivò da Valsecchi. In un primo momento rimasi scosso, mi chiedevo come avrei potuto interpretarlo. Non era facile trovare la chiave giusta, dargli un equilibrio. Era il 2000, ma in tv l’immagine del poliziotto gay non era ancora stata sdoganata. Ne parlai con il regista Renato De Maria e gli spiegai che non avrei voluto cimentarmi in una macchietta. Decisi quindi di mettere in campo la sensibilità, un lato caratteriale che non mi mancava e non mi manca.
Nel tempo i riferimenti all’omosessualità svanirono. Anzi, Luca ebbe storie con delle donne.
Quell’aspetto è andato a sfumare anno dopo anno e il personaggio si è evoluto, mostrandosi diverso dagli albori. Io mi limitavo a seguire quello che c’era scritto in sceneggiatura, senza porre troppe domande. Se quella era la direzione desiderata, il mio compito era quello di adeguarmi. Quando sei sotto contratto punti a fare bene il tuo lavoro. Non so dare risposte in tal senso, forse a fronte di un Luca più forte e deciso non faceva piacere che emergesse quel lato ed è stato alleggerito.
Dopo un avvio in sordina, il successo di Distretto di Polizia toccò vette altissime.
Servì del tempo. Era normale, la storia d’amore tra noi e il pubblico aveva bisogno di essere coltivata. Ma quando dopo il secondo anno esplose, si rasentò la follia. Noi attori ci spostavamo col bodyguard, in alcuni casi non era possibile girare. Eravamo sconvolti, c’erano centinaia di persone ad accoglierci ed eravamo i primi ad esserne stupiti. Nessuno di noi aveva mai lavorato ad una fiction di parecchie stagioni. Venivamo dagli ottimi risultati di Ultimo, ma se totalizzi 10 milioni e le puntate sono complessivamente due, non c’è tempo di far innamorare la gente di te. Se invece la striscia si allunga, le persone vanno in visibilio. E guai ad interrompere quella relazione. Fai parte della loro famiglia.
[…]
Quando hai cominciato a percepire il declino della serie?
Dopo la sesta stagione. Erano usciti diversi personaggi e col passare degli anni iniziò ad abbassarsi il budget. Diventava difficile scrivere bene, le scene avevano meno azione e meno freschezza. Non era facile realizzare 26 puntate l’anno. Ci sbattevano a destra e a manca, venivamo spremuti. Come in tutte le cose esiste un picco e la successiva discesa. L’abbandono di Memphis e Tirabassi fu determinante.
In compenso, come accennavamo prima, Luca Benvenuto acquisì spazio ed importanza.
Sono cresciuto assieme a lui. Quando Valsecchi mi comunicò che sarei diventato protagonista faticai a crederci. Non mi sentivo nella posizione di poter aspirare a quel ruolo, mi imbarazzava l’idea di prendere il posto di attori più maturi di me.
Distretto di Polizia chiuse dopo undici stagioni. Fu complicato riaffacciarsi sul mercato?
Dopo undici anni nei panni dello stesso personaggio molte porte si chiudono, inevitabilmente, ma dopo Distretto si presentarono progetti consistenti. Io però non avevo la forza di inserirmi dentro ad una nuova storia a lunga scadenza. Avevo bisogno di tempo per me. Avevo soldi e popolarità, mi mancava la felicità. Decisi di cercarla, volli indagare.
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Da qui la decisione di partire per l’India.
Avevo lavorato 8-9 mesi l’anno, per un decennio, a ritmi assurdi, una prova che mi aveva scombussolato. Capii che il castello su cui ero poggiato stava crollando. Chiusi alcune situazioni che andavano per forza sistemate e decisi di imbarcarmi in un viaggio di sola andata. Presi lo zaino e salutai. Ero arrivato ad un punto che non potevo più sostenere quel tipo di vita. Ero schiavo degli oggetti e del tempo. Era quella la radice della mia sofferenza, ovvero il tempo illusorio che uno ha dentro la mente, il dover pensare sempre al futuro, al prossimo film. Cominciai a puntare l’attenzione su ciò che non cambia mai, piuttosto che su ciò che cambia in continuazione. Se appena conquisti qualcosa pensi subito al timore di perderla, vivi dentro ad una costante ansia. E’ un approccio che ti nega la vita.
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Hai lavorato profondamente su te stesso.
Mi sono posto delle domande e, anziché porre l’attenzione sull’esterno, ho acceso i riflettori su di me. Gli attori pronunciano la parola ‘io’ mille volte al giorno. Ma io chi? Se ti poni questo interrogativo, si aprono scenari bellissimi. Se hai la forza di approfondire, inizia il viaggio della vita e il lavoro diventa una piccolissima parte rispetto a quello che stavi perdendo.
In India hai pure trovato l’amore.
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Ho incontrato Suman, australiana residente a New York, anche lei con un biglietto di sola andata per l’India. Ci siamo incrociati in una scuola di meditazione tantrica. E’ capitato di meditare assieme e da lì è nata la relazione. Siamo ancora insieme dopo dieci anni. Con lei mi sono trasferito in Indonesia, dove ero già stato prima di conoscerla. Avevo visitato l’isola di Komodo e ne ero rimasto affascinato. Le ho detto che sarei voluto tornare là. Abbiamo aperto un ristorante di sushi, l’Happy Banana. Parliamo di uno dei posti con il maggior sviluppo economico e demografico.
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Stare lontano dalla famiglia e dagli amici italiani non ti pesa?
Il mio migliore amico è dietro l’angolo, io ragiono così. Se nella vita resti legato alle solite persone, non rompi mai il muro e non esci mai dal giro. Spesso la famiglia diventa un alibi. E’ un valore stupendo, ma non può essere una scusa. Se tu stai bene, i primi ad essere felici per te dovrebbero essere i tuoi familiari e i tuoi amici. Mia madre quando la informai che sarei voluto partire per l’Oriente si disperò, ma quando mi sentì per telefono e capì che stavo bene, nel suo cuore scattò la felicità. Nella vita, a volte, bisogna attuare degli strappi.
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Nel 2022 sei tornato in Italia e la tv ha ribussato alla tua porta.
Ero rientrato per far conoscere mio figlio a mia madre e decisi di rivedere le persone che avevo perso di vista da una vita. Giulia Bevilacqua fu una delle prime. Ci eravamo già sentiti ed eravamo rimasti in buonissimi rapporti dopo la fine della nostra relazione. Lei ha conosciuto la mia famiglia ed io la sua, è stato meraviglioso. In quel frangente ricontattai anche la mia agente e mi informò che c’era in ballo un ruolo per Una mamma all’improvviso, film di Mediaset che avrebbe sancito la reunion tra me e Giulia. Accettai, fu un’esperienza catartica per entrambi, molto più interessante della parte attoriale.
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In quei mesi di set non è scattata la nostalgia per la professione?
Non ho sbarrato la porta, l’ho lasciata socchiusa, ma non mi vedo di nuovo in Italia. Tutto può succedere, l’Italia è il Paese più bello del mondo, però amo l’Asia e sto bene qua. Il film è stato un dono inaspettato, mai mi sarei immaginato un rientro del genere. […]
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