Eugenio Capodacqua per “la Repubblica”
GIUSEPPE FISCHETTO
All’origine di tutto c’è quell’enorme, incredibile database della Iaaf, la federazione mondiale atletica. 12.365 test ematici su 5.000 atleti negli anni che vanno dal 2001 al 2012. Lì c’è la storia ematica recente dell’atletica. Una storia che avrebbe dovuto allarmare dirigenti e medici di ogni bandiera, e che invece è rimasta silente fintanto che, da una piccola-grande inchiesta italiana, quella di Bolzano sul doping del marciatore azzurro Alex Schwazer prima dei Giochi di Londra, non sono emersi i dati nella loro fredda realtà.
Quel database sequestrato al medico azzurro Giuseppe Fischetto, responsabile dell’antidoping federale e contemporaneamente esperto nella Iaaf, adesso a processo per aver favorito, secondo l’accusa, il doping dell’altoatesino, è stato una sorta di vaso di Pandora. E la dice lunga sulla gestione dell’antidoping nella federazione mondiale.
DOPING ATLETICA
Fischetto disponeva di dati in chiaro (non poteva, infatti la Procura di Roma l’ha messo sotto accusa per violazione della privacy), come esperto Iaaf aveva il compito di segnalare casi e valori sospetti, in una situazione di evidente conflitto, dovendosi occupare contemporaneamente dei “suoi” italiani e degli avversari degli stessi.
Nessuno, poi, è andato a fondo sui 146 test sospetti di atleti variamente medagliati. Nessuno si è preoccupato più di tanto se, ad esempio, l’ematocrito del fondista britannico di origine somala Mo Farah, oro su 5 e 10 mila a Londra, saltabeccava dal 39,7% ad un sospetto 44,5% e l’emoglobina da 13,9g/dl a 16,5g/dl. O ancora se italiani di vaglia come Schwazer facessero registrare test chiaramente sospetti senza che nulla per mesi e mesi accadesse.
ATLETICA DOPING
Presto si è capito il perché. Connivenza. E, nel caso dei russi, addirittura corruzione. Ai massimi livelli. Coinvolti l’ex presidente della Iaaf, l’82enne senegalese Lamine Diack e il suo entourage, figli e avvocati compresi. Soldi in cambio del silenzio. Con la complicità – fatto ancor più grave - di un laboratorio ufficialmente accreditato, quello di Mosca di cui adesso si raccomanda l’esclusione dal circuito mondiale e addirittura il licenziamento in tronco del direttore.
L’inchiesta della tv tedesca Ard ha spinto la Wada, l’agenzia mondiale antidoping, a indagare finalmente a fondo. In Francia Diack e compagni sono finiti sotto indagine penale. Ora ci sono queste 323 pagine della commissione Wada: la prova provata che lo sport che controlla se stesso non funziona.
ATLETE RUSSE DOPING
E che, in questo quadro, diventa inefficace perfino uno strumento potente come il passaporto biologico, che tiene sotto controllo per anni i parametri ematici degli atleti. «Con i controlli ogni sei mesi ci si può tranquillamente dopare» spiega Dario D’Ottavio, biochimico clinico che segue il ritorno alle gare di Schwazer nello staff di Sandro Donati, simbolo dell’antidoping italiano. «Noi ad Alex abbiamo fatto più di diciotto analisi in 4 mesi».
«La Russia?» ricorda Donati, «ben 22 anni fa ho denunciato la presenza di una nave nella baia di Seul (Giochi 1988, ndr) dove gli atleti di quel paese andavano per verificare che il doping fatto non lasciasse tracce prima delle gare. Non è successo nulla».
yuliya rusanova
Ora c’è di mezzo un personaggio carismatico come Dick Pound, ex presidente della Wada e oggi a capo della commissione che ha inchiodato atleti e dirigenti russi. Quanto alla Iaaf, tutto è affidato alla buona volontà del neo presidente Sebastian Coe. «Le sanzioni? Sospensione provvisoria o completa e eliminazione di eventi futuri», fanno sapere da Montecarlo.
yaroslav kholopov
Stavolta il rigore non dovrebbe mancare. «Ma c’è ancora un problema» dice Donati, «nel Codice Wada nulla è previsto nel caso che a fare o coprire il doping siano le istituzioni: federazioni nazionali, internazionali, comitati olimpici, agenzie nazionali. Una lacuna gravissima che rende l’antidoping attuale una lotta solo di facciata».