Massimiliano Peggio per ''la Stampa''
«Assumo saltuariamente sostanza stupefacente e vivo con i miei genitori. Dopo aver incontrato un amico in corso Emilia, sono rimasta da sola in strada. Volevo chiamare un taxi ma avevo la batteria del cellulare scarica. Ho incontrato un magrebino, sui trent' anni.
Mi ha chiesto se avevo bisogno di qualcosa. Non fidandomi, ho visto sopraggiungere una donna, il cui aspetto mi dava più rassicurazione e l' ho chiamata. Gentilmente mi ha invitato a seguirla fino a casa sua, nei paraggi, da dove avrei potuto fare una chiamata».
CRACK
Ecco il racconto della donna di 41 anni, residente nella prima cintura torinese, rimasta per quasi 24 ore, tra giovedì e venerdì scorsi, prigioniera nell' abitazione di una tossicodipendente marocchina schiava del crack, che per sedare le sue continue astinenze, l' ha usata come merce di scambio: l' ha fatta violentare da due pusher, un maghrebino e centrafricano, in cambio di dosi.
Dopo essere stata richiusa in un piccolo alloggio in un cortile condominiale di via Bra, in zona Aurora, non lontano dal centro, minacciata con una lametta da barba e rapinata del bancomat dalla sua carceriera, violentata due volte, la donna è riuscita con una scusa a chiedere aiuto in un vicino bar di corso Giulio Cesare e a chiamare la polizia. Ironia della sorte, il barista che l' ha soccorsa è il magrebino incontrato la sera precedente, che si era offerto di darle una mano.
fumare crack
Gli agenti delle volanti hanno arrestato la donna marocchina con l' accusa di violenza sessuale e rapina. In cella è finita Mounia Boujjaadia, 38 anni, in Italia con regolare permesso di soggiorno. Sconosciuti al momento i due violentatori, dei quali la scientifica della polizia sarebbe riuscita a recuperare le tracce biologiche in un paio di preservativi, gettati all' interno dell' abitazione dove si è consumata la violenza.
Due vite alla deriva È la storia di due donne con vite alla deriva. Contagiate dalla droga. «Una volta raggiunta la sua casa, ci siamo messe a parlare. Così ha ottenuto la mia fiducia. Dopo un po' mi ha convinto a drogarci insieme. Siamo andate al bancomat a prelevare dei soldi: 50 euro per lo stupefacente e 20 per le sigarette. Poi siamo tornate a casa. Lei ha chiamato uno spacciatore che ci ha portato del crack. Abbiamo iniziato a fumare. Io ho fatto due aspirazioni. Lei, dopo qualche tirata, è andata fuori di testa». La situazione è degenerata. La donna marocchina ha preso una lametta da barba e un coltello da cucina minacciando la sua «ospite». Si è fatta consegnare il bancomat e il codice pin per fare altri prelievi.
La droga non le bastava. Così, al mattino seguente, è uscita di casa, chiudendo la porta di casa. «Sono rimasta lì dentro, prigioniera, per ore. Urlavo ma nessuno mi sentiva. Quando è tornata, ho cercato di fuggire.
Crack e pistola a Brooklyn
Sono uscita in strada, ho raggiunto un negozio di telefonia, gestito da alcuni stranieri per chiudere aiuto. Non mi hanno dato retta. La donna mi ha inseguita, afferrata per un braccio e trascinata di nuovo in casa».
L' orrore Quando si è ritrovata nuovamente in quel piccolo alloggio di due stanze, umido e puzzolente, la donna magrebina le ha svelato il suo piano. «Mi ha detto di aver speso tutti i soldi prelevati dal mio conto e che da lì a poco sarebbe arrivato un uomo a portarle della droga e io avrei dovuto avere un rapporto sessuale con lui. E così è stato. Quell' uomo, un magrebino, mi ha tolto i vestiti e mi ha violentata sul divano, usando un preservativo. Mentre lo faceva, la donna si drogava e lo incitava a continuare». Un paio d' ore dopo è arrivato un altro pusher, un centrafricano.
Stessa scena. «Ero stremata, fisicamente e psicologicamente.
Quella donna diceva che avrei dovuto collaborare, per farle avere altra droga. Così le ho fatto credere che mi sarei prestata ad altri rapporti sessuali.
Appena ho potuto sono fuggita. Ho raggiunto un bar e chiesto aiuto».