DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratto dell’articolo di Jacopo Iacoboni per www.lastampa.it
Putin voleva mettere al gelo l’Europa, ma il rischio concreto è che al gelo finiscano le finanze di Gazprom, che potrebbero dover pagare tanti risarcimenti in almeno dieci contenziosi con aziende del gas in Europa. Dopo tanti anni di ottime (anche troppo) relazioni con la Russia, che ormai si sono da tempo incrinate dopo l’invasione russa in Ucraina del 24 febbraio 2022, anche Eni, come altre grandi aziende europee del gas, ha appena aperto un contenzioso arbitrale con Gazprom per la mancata erogazione di gas secondo i contratti previsti.
Il contenzioso è partito a inizio maggio, secondo quanto risulta a La Stampa da fonti indipendenti russe. Sarà giudicato a Stoccolma, secondo quanto prevedono i contratti. E – anche se non avrà tempi brevissimi – è in termini economici uno dei due più rilevanti contenziosi di aziende di gas europee con Mosca.
L’altro è quello di Uniper, l’azienda tedesca, che ha fatto causa per 12,5 miliardi di dollari. Uniper acquistava 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla Russia, era il più grande importatore tedesco e era uno dei principali investitori nel consorzio Nord Stream 2. Dopo la fine di fatto del Nord Stream 2, l’azienda è stata in sostanza nazionalizzata, il governo Scholz ha investito 29 miliardi per salvarla. Uno dei prezzi per le politiche completamente miopi (o peggio) di Berlino con Mosca sul gas, per almeno due decenni.
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Eni aveva una diversificazione maggiore in corso da più tempo, ma anche i suoi acquisti di gas viaggiavano intorno a una cifra simile a quella tedesca. Nel 2022 Eni aveva comprato 17 miliardi di metri cubi da Mosca, di cui 11 miliardi di metri cubi dovevano arrivare in Italia, e 6 miliardi di metri cubi in Turchia, anche a sostenere l’operazione del gasdotto Bluestream (una quantità già di molto inferiore al 2021, quando gli acquisti di Eni dalla Russia erano stati per 29 miliardi di metri cubi, ossia il 40 per cento delle importazioni totali).
Dunque la cifra che spetterebbe, nel contenzioso arbitrale, a Eni (in caso di vittoria), è analoga a quella dei tedeschi, anche se l’azienda italiana non ha voluto fornire numeri e è molto riservata su questa materia.
Adesso, a La Stampa, Eni risponde che la cosa è stata trattata in trasparenza durante l’assemblea degli azionisti del 10 maggio scorso: alla domanda se i contratti a lungo termine con la Russia per l’importazione del gas sono ancora in essere o sono stati, in parte, sospesi, l’azienda ha risposto che «i contratti con Gazprom export sono ancora in vigore, anche se a partire dal giugno 2022 Gazprom export ha iniziato ad applicare riduzioni di consegna. Le riduzioni applicate da Gazprom export sono oggetto di contenzioso arbitrale coperto da riservatezza, quindi non possiamo fornire ulteriori informazioni».
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L’azienda al cui timone è stato appena riconfermato Claudio Descalzi fa dunque parte a pieno titolo di una serie di iniziative legali da diversi paesi dell’Unione europea contro Mosca. La polacca Europol Gaz ha aperto la sua procedura di arbitrato proprio questa settimana: la società di Varsavia gestiva la sezione polacca del gasdotto Yamal-Europe, che pompava il gas dalla Siberia occidentale a una serie di clienti (privati e grandi aziende) in Germania.
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L’anno scorso, Mosca ha visto dimezzarsi le entrate, finanziarie e fiscali, derivanti dal gas: le esportazione erano 100 miliardi di metri cubi, e sono scese a circa 50. La Cina attualmente copre per 22 miliardi di metri cubi. Ma non sembra intenzionata a fare beneficenza sui prezzi da pagare a Vladimir Vladimirovich.
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