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DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
Andrea Sorrentino per la Repubblica
MOURINHO CONTE GIORNALI INGLESI
Nella suite da duemila sterline a notte c’è pure un pianoforte. Mezza coda, per carità, ma pur sempre un pianoforte, anche se non risulta che il celebre ospite abbia dimestichezza con arpeggi, scale, crome e biscrome.
E di sotto, nei saloni di bellezza, c’è il barbiere a cinque stelle, che accetta solo un cliente per volta: così l’uomo di Setubal non deve uscire dal suo bunker di cristallo neppure per modellare la chioma cui tiene tanto, e giorni fa ha dato un’opportuna accorciatina. Lentamente rischia di finire come Sansone, il José Mourinho calante di quest’ultimo anno, esonerato dal Chelsea e in crisi nerissima anche al Manchester United.
Via i capelli, via la forza, via il tocco magico e l’ascendente sui giocatori, via il buonumore e il ghigno da pirata, via tutto. Ha detto che la sua vita a Manchester è «un disastro», chiuso com’è nella prigione dorata del Lowry Hotel, lontano dalla famiglia che vive felicissima a Belgravia, la Londra dei ricchi, dato che i due figli, ormai più che adolescenti, hanno le loro vite, e insieme alla mamma non seguono più il papà nelle sue scorrerie. Così José si sente solo, e triste, forse un po’ meno solo quando all’inizio del mese gli arriva lo stipendio, la dodicesima parte dei 14 milioni annui che gli hanno accordato.
E il panorama dalle vetrate della suite non lo invoglia a pensieri gioiosi: da un lato posa gli occhi sul rigagnolo acquitrinoso che qui chiamano fiume Irwell, uno di quei canali dove ogni tanto, di notte, trovano la morte per misteriosi motivi un sacco di persone (61 in 7 anni, qualcuno pensa ci sia un serial killer, “ the pusher”, che spinge le persone in acqua, altro che ubriachi in caduta libera), dall’altro su una di quelle voragini a cielo aperto che a Manchester si aprono di continuo, perché sta nascendo l’ennesimo palazzo di cemento e vetro.
Abitano qui Pogba, Mkhitaryan e Bailly, anche loro nuovi di Manchester, ma si sa come sono i giovani, loro la sera un giretto in città lo fanno di buon grado e hanno meno pensieri di un manager. Invece Mourinho rimane blindato là dentro, esce quasi solo per andare a Carrington per gli allenamenti, e intanto il suo mito stinge in qualcosa di grigiastro e incomprensibile.
La squadra è settima in classifica, con gli stessi punti (15) del Watford di Mazzarri, ed è partita peggio che con Moyes e Van Gaal. Non vince in campionato dal 24 settembre. Colpa anche delle sue scelte. Ha voluto Ibra, e ha scoperto che non è più dominante a livello fisico, men che meno in Premier dove i difensori sono grossi come lui; ha fatto strapagare Pogba, e ora ha il sospetto di aver fatto una fesseria enorme.
Rooney è un problema irrisolto, e non parliamo del Grande Vecchio, Alex Ferguson, il cui spirito, e mica solo quello, aleggia sul club, con pareri e chissà cos’altro che irritano José, abituato a non avere padroni in casa sua.
E come lo scorso anno al Chelsea, fioccano le polemiche con gli arbitri e le squalifiche che aleggiano sulla sua chioma brizzolata e stanca: ha già due procedimenti aperti dopo le partite contro Liverpool e Burnley. Alcuni tifosi rumoreggiano, e meditano di far sorvolare Old Trafford da un aereo, prima di Manutd-Arsenal del 19 novembre, con la scritta “Mourinho out”. Come se non bastasse, l’altra sera il Lowry Hotel ha ospitato il Barcellona, la squadra che José più odia al mondo. Che vitaccia, ragazzi.
2. LO SPECIAL ROVINATO DALLA SVOLTA SENTIMENTALE
Emanuela Audisio per la Repubblica
SI è rammollito. È diventato più tondo, meno spigoloso. Ha permesso al suo cuore di sentire: riconoscenza, solitudine, lontananza. Lui che prima diceva: «Non raccontatemi il vostro film, io stesso sono in un film». Ora fatica a stare nell’inquadratura. Si lamenta: mi mancano moglie e figli. Lui che prima riprendeva i giocatori: «Non ditemi che non vi piace il tempo o che la vostra famiglia non è felice in Inghilterra». Era pragmatico, adesso è sentimentale.
Ha richiamato Ibrahimovic, 35 anni, mentre nel 2009 all’Inter se ne era sbarazzato, dopo essersene servito (25 gol) per vincere lo scudetto. Accendeva risse (anche dialettiche), ora le spegne. Quando in conferenza stampa dopo la batosta con il Chelsea gli hanno chiesto cosa avesse detto a Conte ha risposto: «Sono cose che restano in campo». Ma quando mai?
L’altro Mou, cinico e realista, avrebbe intrattenuto la platea sulla maleducazione di rifilare quattro gol e voler continuare a segnare. Poteva scatenare la tempesta perfetta, non l’ha fatto. In più dopo la partita con il Burnley è andato a scusarsi sotto la curva del Manchester per la brutta figura con il Chelsea. Mou che chiede perdono? Ma siamo in un film di fantascienza?
Scomparsa quella sana arroganza che gli aveva fatto urlare a Cruijff, mica a un magazziniere: «Non voglio che mi insegni come si fa a perdere 4-0 in una finale di Champions League. Non voglio proprio impararlo». Ah sì domenica è stato espulso per critiche all’arbitro, segno che sotto le braci cova ancora il vecchio Mou. Ma se n’è andato mogio in tribuna, come uno studente asino dietro la lavagna. E poi non ha infierito.
Niente, silenzio. Volete mettere con il gesto della manette, che nel 2010 contro la Samp, per un‘Inter ridotta in nove, gli costò tre turni di squalifica? Allora sbranava, adesso subisce. Sì, faceva la cosa sbagliata, ma spesso era la mossa giusta. Dava la carica, convinceva la squadra che il mondo era cattivo, che i nemici erano lì sulla collina, confessava personalmente i suoi uomini, perché per lui la psicologia contava.
Ora dicono che lasci l’allenamento ai suoi vice. Lui osserva dall’ufficio le battaglie quotidiane. Voleva vecchi pirati che andassero all’arrembaggio, invece ha giovani avventurieri timidi. Loro non si danno, lui non si presta. Al Porto escluse dalla squadra un giocatore (Carlos Alberto) arrivato in ritardo all’allenamento perché era andato all’aeroporto a salutare la sua famiglia. Mou era Special, appunto. Ora è solo più mou.
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