DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell'articolo di Flaminia Savelli per “il Messaggero”
«Ero fermo al semaforo rosso, in macchina con me c'era la mia famiglia. Ho sentito due botti contro il finestrino che non si è rotto perché è blindato. Mi sono voltato di scatto e ho visto due uomini con il casco integrale nero, a bordo di uno scooter. Uno mi puntava contro la canna della pistola: così ho capito che era finta».
Un altro nome, un'altra vittima della banda del Rolex: Alessio Cerci, ex attaccante della Nazionale e della Roma (fino al 2010). Mercoledì, intorno alle 23, il bomber è finito nel mirino di una delle bande di rapinatori di orologi di lusso che stanno mettendo a segno colpi a raffica nella Capitale.
Un'escalation di rapine come segnalato dal Messaggero lo scorso sabato. Il calciatore stava rientrando dallo stadio Olimpico dove si era appena disputata la finale di Coppa Italia, Inter-Fiorentina. Dopo il colpo sfumato, i banditi hanno seguito Cerci per alcuni chilometri tra i quartieri Trastevere e Portuense prima di darsi alla fuga. Sul caso indaga ora la sezione Antirapina della squadra Mobile.
Alessio Cerci, cosa ricorda dell'assalto al suo suv?
« Dei momenti iniziali ricordo tutto. In pochi istanti sono finito in un incubo. Pensavo solo a mia moglie e a mio figlio che erano con me. Eravamo fermi al semaforo, c'erano macchine sia davanti alla mia che dietro. A un certo punto ho sentito due botti contro il finestrino, poi ho visto l'arma. Ho notato il tappo rosso e ho intuito che era finta».
A quel punto ha ingranato la marcia ed è scappato?
«Il vetro non si è rotto perché è blindato. Ho ingranato la marcia certo, ma la strada era trafficata e ho iniziato a superare le auto davanti a me. Dallo specchietto però ho visto che i due rapinatori mi seguivano ancora. Ho spinto ancora sull'acceleratore e bruciato alcuni semafori. Intanto mia moglie ha chiamato la polizia, gli agenti erano al telefono con noi mentre io cercavo di seminare i banditi».
Che invece continuavano a seguirla...
alessio cerci jimmy ghione matrimonio ventura
«Sì. Ci hanno seguito per diversi chilometri mentre mia moglie mi riferiva le indicazioni della polizia. Ci stavano coordinando per intercettarci. Pensavo solo a guidare, a seminarli. Ma lo scooter era sempre lì, a pochi metri da noi».
Non ha avuto dubbi che si trattasse di una pistola finta?
«Ho visto chiaramente il tappo rosso delle armi giocattolo.
(...)
Quindi un lungo inseguimento: dopo cosa ha fatto?
«All'altezza della Portuense i due banditi sono spariti, non c'era più nessuno in scia al suv. Davanti a noi c'era invece una pattuglia della polizia. Ho dedotto che anche i rapinatori l'avessero vista e che per questo avessero deciso di rinunciare al colpo».
Poi cosa è accaduto?
«La polizia ci ha scortati fino a casa, all'Eur. Eravamo tutti sconvolti e lo siamo ancora. Mio figlio non ha mai smesso di piangere, è un bambino e sarà difficile fargli superare il trauma. Lo stesso per me e mia moglie. Anche perché la banda è andata a colpo sicuro, il piano era studiato».
Cioè?
LESULTANZA DI ALESSIO CERCI IN TORINO ROMA
«Indossavo un Rolex d'oro quella sera. Quindi devono avermi puntato, nonostante con me ci fosse anche la mia famiglia e un bambino piccolo, non hanno avuto scrupoli».
Il suo timore quindi è di essere stato seguito...
«Sì, e di non essermene accorto. Non so se all'uscita dello stadio, al termine della partita. O addirittura da prima. Non ho notato nulla se non quando ormai era troppo tardi. Di certo sapevano cosa indossavo e che al polso avevo un Rolex. Ecco perché non si è trattato di un colpo improvvisato e loro sono banditi esperti. Alla mia reazione, infatti, non si sono tirati indietro. Anzi: mi hanno inseguito per diversi chilometri e sono scappati, secondo me, solo quando hanno visto che c'era una pattuglia della polizia. Ciò significa che se mi fossi fermato con l'auto, avrebbero tentato ancora di rapinarmi dell'orologio e chissà che altro...».
(...)
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