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LA GUERRA (DELLE CANZONETTE) TRA RUSSIA E UCRAINA - ALL’EUROVISION TRIONFA L'UCRAINA CON UN PEZZO SULLA REPRESSIONE DEI TATARI DI CRIMEA SOTTO STALIN - I RUSSI TRA RABBIA E AUTO-IRONIA: “L’ANNO PROSSIMO VINCERÀ UNA CANZONE CONTRO ASSAD, VISTO CHE LO DIFENDIAMO” - VIDEO

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Nicola Lombardozzi per “la Repubblica”

 

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Ci mancavano solo le canzonette per aizzare le tensioni e i rancori tra Russia e Ucraina e, di conseguenza, tra Mosca e i cosiddetti “Paesi ostili” dell’Europa Occidentale.

 

L’ennesimo casus belli si chiama 1944 ed è una straziante ballata cantata dalla ucraina Jamala, che sabato sera ha vinto a Stoccolma la sessantunesima edizione di Eurovision Song Contest, manifestazione canora, trasmessa in diretta televisiva in oltre 50 nazioni.

 

Al termine di un complesso meccanismo di voto che politici e media di Mosca hanno seguito ora per ora con un’attenzione degna di una missione spaziale, ha vinto proprio quella che era stata ritenuta “una provocazione politica antirussa”. Scatenando le durissime reazioni di politici di alto livello, intellettuali e “patrioti” che ora chiedono la revoca del premio.

 

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I motivi sono comunque evidenti. Jamala, cantautrice tatara di Crimea, ha dedicato la sua canzone alla tragedia della deportazione della sua gente in Siberia, ordinata da Stalin al termine della Seconda guerra mondiale.

 

Un argomento che di questi tempi tocca un tasto assai dolente esacerbato dall’annessione della Penisola da parte di Mosca nel 2014 che Ucraina, Ue e Stati Uniti continuano a ritenere illegittima. Per settimane la delegazione russa al Festival ha chiesto che la canzone fosse squalificata in rispetto del regolamento che in effetti proibisce “testi a contenuto politico”.

 

Appello inascoltato. Susana Jamaladinova, in arte Jamala, ha potuto cantare il testo ispirato alla storia vera vissuta dai suoi nonni: «A un tratto sono arrivati gli stranieri/ sono entrati nelle vostre case/ vi hanno ucciso tutti/ e poi hanno detto: “Noi non siamo colpevoli”».

 

Parole forti che hanno convinto le giurie e scatenato la rabbia dei russi. Se non altro perché il favorito era proprio un russo, l’attore ballerino e cantante Sergej Lazarev che, conformandosi al regolamento, aveva cantato una canzone d’amore dal titolo You are the only one, tu sei l’unica.

 

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Apprezzato dalla critica e dato per vincitore dal televoto, Lazarev è invece precipitato al terzo posto travolto dai voti delle giurie nazionali, in particolare dal blocco dell’Est dei Paesi ex comunisti e antirussi come Polonia, Repubbliche baltiche e Romania e dalla Turchia che appoggia da sempre la minoranza tatara di Crimea. Perfino il Cremlino aveva fatto il tifo per Lazarev che non è poi uno molto legato al potere.

 

Tutt’altro. Pochi giorni prima del verdetto, per esempio, aveva sfidato le leggi russe contro la propaganda sui diritti degli omosessuali dichiarando: «Da noi c’è ancora qualche problema ma esiste una vita gay nonostante tutto. Ho fatto due concerti in locali per omosessuali e altri ne farò sicuramente ». In realtà, nelle strategie d’immagine del Cremlino, Eurovision rappresentava un modo per strizzare l’occhio a un’opinione pubblica più aperta al rispetto dei diritti umani.

 

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Dopo le condanne per la vittoria della dragqueen Conchita Wurst, e dopo aver definito il festival “un gay pride” internazionale, Mosca avrebbe potuto dimostrare la sua apertura mentale ospitando la prossima edizione del festival come il regolamento prevede che accada per il Paese vincitore. La “provocazione” di Jamala ha invece stravolto tutti i piani. Il prossimo festival si farà in Ucraina e il mondo ha riscoperto le sofferenze dei Tatari.

 

Ecco perché è partito l’ordine di sparare a zero contro il festival. Perfino Maria Zkharova, autorevole e vulcanica portavoce del ministero degli Esteri ha ironizzato sul complotto politico delle giurie: «L’anno prossimo vincerà una canzone contro Assad, visto che noi lo difendiamo».

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È sceso in campo pure il vicepremier Dmitrj Rogozin: «L’anno prossimo mandiamo il gruppo punk Leningrad. Non vinceranno ma almeno mandano tutti a quel Paese». Molti siti invece specificano che la deportazione di Stalin fu ordinata per punire il collaborazionismo, documentato, dei Tatari con gli invasori nazisti. E qualcuno, esagerando, si spinge a scrivere che Stalin lo fece «per proteggerli dalle rappresaglie della popolazione».

 

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Che sia stato o meno un complotto politico, certamente la politica sfrutta alla grande il successo di 1944. Il ministro degli Interni ucraino fa sapere che «al festival del 2017 saranno ammessi solo i cantanti russi che ammettano che annettersi la Crimea sia stato un crimine».

 

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E la sempre pronta Yiulia Tymoshenko fa addirittura una proposta impossibile: «Prossimo festival in Ucraina? Bene, facciamolo in Crimea».

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