DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Estratto dell'articolo di Antonello Piroso per "La Verità"
Ma perché gli atleti neri, se non vincono, o perdono, o sono contestati, tirano in ballo il razzismo? Non tutti, ovvio. Ma succede. Spesso. Soprattutto ai numeri 1. Last but not least: Vinicius Jr., stella del Real Madrid. Assegnano il Pallone d’oro a Rodri […] e Vinicius frigna: mi hanno fatto pagare l’impegno contro la discriminazione razziale, «il mondo del calcio non è pronto ad accettare un giocatore che combatte contro il sistema».
«Sistema» che peraltro remunera il suo talento con 21 milioni di euro lordi a stagione. È vero: glieli passa la sua squadra. […] Ma il suo presidente Florentino Pérez dove li prende i danè? Dalle tv e dallo sponsor. Che è Emirates, la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, in cui l’omosessualità è illegale, e punita con la prigione.
[…] Ma quale razzismo, si è inalberato Javier Tebas, presidente della Lega calcio iberica: «Il sistema di France Football», ossia la testata che organizza il premio, «è trasparente. A votare sono 100 giornalisti di tutto il mondo. La reazione madridista è senza senso». Per carità, ognuno si ribella come vuole al Dramma, al Male e all’Ingiustizia razziale, sperimentati per decenni in primis dalla comunità afroamericana, da cui è partito il movimento Black lives matter, con tanto di genuflessioni in pubblico con il pugno alzato.
[…] Diverso l’approccio di Nelson Mandela, grande anima nera, sopravvissuto a 27 anni di carcere duro nel Sudafrica dell’apartheid di Stato, che chiosava: «Io non perdo mai. O vinco o imparo». Senza piangersi addosso, lezione inascoltata da quei neri che preferiscono coltivare la «cultura del piagnisteo» cui Robert Hughes dedicò, fin dal titolo, il suo celebrato saggio del 1994. Trent’anni passati invano.
Passerò per razzista se affermo che la reiterata esibizione della sindrome da Calimero «pulcino nero», lamentazioni e vittimismo, mi fa mulinare le pale eoliche? Pazienza. Del resto, come insegna il filosofo francese Pascal Bruckner, essendo bianco, sono un colpevole (quasi) perfetto. Anche se, da piccolo e nel mio piccolo, pure io ho sperimentato la xenofobia: quando a Como non affittavano casa ai «terroni» (mio padre era un calabro servitore dello Stato) e quando - in visita ai parenti emigrati nella Svizzera tedesca - i miei coetanei di Zurigo e dintorni mi sputavano appellandomi come «italiano di me...».
Ma il pianto greco di un estro maldestro e sprecato come Mario Balotelli, indignato per i «buuuu» ricevuti da un gruppo di trogloditi, anche no, grazie. Mario, mi tocca darti una notizia: molti, me compreso, ti hanno fischiato non perché sei nero, ma perché giocavi male, svogliato, in apparente guerra contro tutto e tutti, compagni di spogliatoio compresi.
[…] L’ultrà critica, attacca, dileggia il nero in quanto «nemico», non perché «di colore». La riprova? I calciatori neri - italiani, europei, africani - sono presenti in tutte le squadre, esaltati e idolatrati dalle tifoserie se schierati con i propri colori, ricoperti di contumelie se in campo sotto i vessilli avversari. Certo, questo non dovrebbe mai autorizzare alcuno a scadere nell’offesa che rimanda al colore della pelle, o alle radici non italiane. Vedi alla voce Ivan Juric, allenatore (per quanto?) giallorosso, croato bersagliato da coretti indecenti: «Zingaro!», proprio come il serbo Sinisa Mihajlovic.
[…] Però né Mihajlovic né Juric si sono spinti a sostenere, pur stigmatizzando l’indigesta spiacevolezza degli episodi, che l’Italia sia un Paese razzista. Paola Egonu invece sì, al Festival di Sanremo 2023, manco stesse riferendosi all’Alabama degli anni Cinquanta, anche se - bontà sua - «non tutti sono razzisti o ignoranti». Però «bisogna dire le cose come stanno», dopo aver premesso: «Non voglio fare polemica o vestire i panni della vittima» (e per fortuna...).
Dichiarazione che seguiva lo sfogo del 2022, quando - dopo la sconfitta dell’Italvolley nella semifinale con il Brasile ai Mondiali - sbottò in lacrime: «Ogni volta vengo presa di mira, mi hanno chiesto addirittura perché sono italiana. Basta, sono stanca. Questa è la mia ultima partita con la Nazionale».
Anche lì il razzismo c’entrava zero. Scontava infatti il clima non armonico nello spogliatoio e nei suoi rapporti con il ct Davide Mazzanti, che a un certo punto la mandò in panchina, e non certo per razzismo ma per le sue prestazioni giudicate discontinue. […]
Fratelli neri, sorelle nere, rifuggite dalla comfort zone delle reazioni pavloviane. E leggete, se vi capita, il fantastico romanzo Cancellazione di Percival Everett, da cui è stato tratto il film American Fiction, vincitore di un Oscar. L’autore (nero) narra i tormenti di un romanziere (nero) che viene «rimbalzato» dalle case editrici in quanto sì afroamericano, ma di famiglia borghese e benestante: come può dunque testimoniare in modo credibile la vita reale dei neri d’America ghettizzati?
Un nero non emarginato e vilipeso, ma ricco e integrato, non rispecchia il cliché, ergo non funziona. Una critica caustica al brodo di tic e ipocrisie dell’era contemporanea in cui la società è immersa. E da cui dovrebbe invece essere salvata.
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