DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
Alessandra Mammì per Dago-art
MaXXI:una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che la mostra “Open Museum Open City” a cura del direttore Hou Hanru è di certo una delle cose più innovative viste a Roma negli ultimi anni. Quel vuoto da vertigine del museo di Zaha Hadid occupato solo da suoni e progetti luminosi abbandona a se stesso il pubblico in una percezione finalmente completa e complessa delle potenzialità dell'arte.
ram Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni
E non è merito solo delle rampe da skateboard di Zaha o delle curve U-turn del museo di cemento. Sono le opere a ridisegnarne la percezione e le forme. E' la scomposizione in note e colori di un brano Debussy che nelle mani di Philippe Rahm diventa un percorso quasi mistico. E' la trasposizione in alfabeto morse dell'intero Don Chisciotte ad opera di Jean Baptiste Ganne che fino a novembre lancerà lampi rossi dalle vetrate del museo. E' il sovrapporsi di voci, racconti e storia che Ram (quella Radio Arte Mobile fondata da Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni nel 2001) ha raccolto nel tempo fino a formare un archivio unico al mondo e a riportarlo qui in tre postazioni allestite da un artista (Lim) e pronte per essere vissute dai visitatori.
E' lo spirito dal vivo della città esterna, le sue voci i suoni delle sue fontane, il rumore del suo traffico che è stato registrato altrove e rovesciato nella galleria dal trio Mirza Fontana Bennett per ricreare una piazza urbana... e altro molto altro che va scoperto, riscoprendo anche in noi impreviste potenzialità percettive in cui occhi e orecchie si fondono.
Hou Hanru ha fatto un ottimo lavoro nel calibrare ruoli e parti, vuoti e pieni, spazi e suoni, luci e passi.E annuncia un buon lavoro di performance, eventi, incontri che son già pronti a sovrapporsi a questa partitura impalpabile.
La notizia cattiva invece è: dov'è il museo? Una mostra non fa primavera e tanto meno un museo. E a chi si dice entusiasta che grazie a “Open museum open city” il MaXXI sembra il nostro Palais de Tokyo, bisognerebbe ricordare che il Palais de Tokyo è la kunsthalle di Parigi, non il museo nazionale d'arte contemporanea di Francia. Il MaXXI invece nella volontà dei committenti, nella fatica economica dell'impresa e nella scelta dell'architetto star, nasce come il nostro Centre Pompidou.
Unico museo nazionale d'arte del XXI secolo, che appunto come la Tate Modern a Londra o il Pompidou a Parigi vanta collezioni, archivi, biblioteche etc.. Le loro sono bene in vista e a disposizione del pubblico : le nostre?
Abbiam visto la Tate fare performance, allestire cose strane, vuotare e svuotare sale. Ma mai rinunciare all'esposizione della sua collezione, alla funzionalità della sua biblioteca al suo dovere educativo .
Abbiam visto il Pompidou far ruotare come trottola i suoi tesori e tematizzare le esposizioni permanenti ( indimenticabile “elles@” sulle opere di sole artiste donne) ma mai negarle e annientarle.
Il MaXXI invece è ancora alla ricerca di identità. Da una parte se rinuncia a esporre le collezioni permanenti rinuncia a essere un museo, dall'altra è troppo imponente per diventare un dinamico e originale spazio espositivo. Nel mezzo oscilla.
esterno_tate_modern_collection_londra
Si butta su eventi collaterali, non rinuncia agli ormai tristemente famosi corsi di Yoga, mette in scena in modo creativo le collezioni per poi smontarle, chiude la biblioteca d'estate (ma perché non si studia ad agosto?) e con la convinzione di essere un museo delle arti del XXI secolo allarga il campo al "non tutto ma di tutto". Cosa che il Palais de Tokyo si guarda bene dal fare, anzi negli utlimi tempi sembra aver abbandonato l'eventificio in favore di programmi sempre più solidi. Perché ogni kunstalle in fondo punta a diventare un museo. Ma noi originali come sempre costruiamo un mega museo per trasformarlo in kunsthalle. Anzi la kunsthalle più cara d'Europa. In fondo è un record. E son soddisfazioni!
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