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Beppe Di Corrado per "Il Foglio"
Questa è l'Italia dell'uomo che non sbaglia più strada. Marco Belinelli è la faccia che presenta la Nazionale di basket che si gioca l'Europeo. Quella che piace a molti. Forse non ai puristi, ma agli altri. Vedrete stasera dopo i quarti di finale contro la Lituania: che si vinca o si perda sarà un coro di "grazie ragazzi". Perché in questo mese l'Italia si è sentita sottocanestro come mai. E Marco Belinelli è uno dei motivi. Perché era l'uomo sbagliato ed è diventato l'uomo giusto.
E' successo prima di questo Europeo, ma il paese che di basket si occupa distrattamente e per sentito dire se ne è accorto ora. Importa poco la data. E' successo. Abbiamo Beli che senza Andrea Bargnani e Danilo Gallinari ha dimostrato chi è prima all'America e ora all'Europa. Era talento, classe, intelligenza. Era il più americano degli italiani. Peccato che per qualche anno ce lo siamo dimenticati. Travolti dal Mago e dal Gallo, appassionati alle loro vicende statunitensi e non a quelle di Belinelli che stava lì come loro, ma con una copertura diversa dalla loro. L'uomo sbagliato, pareva.
In Nba ci era arrivato l'anno dopo Bargnani e l'anno prima di Gallinari. Era il 2007, non una vita fa. Le telecamere si avvicinarono di corsa a lui quando stava per essere chiamata la diciottesima scelta assoluta. Due, tre, quattro, secondi: Mar-co Be-li-nel-li. Destinazione Golden State Warriors: "L'unica squadra che non mi aveva provato nelle settimane precedenti. Io neanche sapevo dove fosse Golden State. Sapevo una cosa sola, che Oakland era una città pericolosa. E in quel momento la prima cosa che mi venne in mente fu: ma dove andrò a finire in un posto che fa paura?"
Parla di sé come di un ragazzo cresciuto. Numero 10 di una Nazionale della quale è leader per ordine naturale delle cose. Più grosso di sei anni fa e però più agile. Ancora più americano. L'Europeo è il nuovo faro sulla carriera di Beli. Come se quelle telecamere del draft si siano riaccese. L'uomo sbagliato è diventato giusto, perché gli Stati Uniti che l'hanno accolto e poi un po' accantonato, ora l'hanno valorizzato. Ha firmato con i San Antonio Spurs che quest'anno hanno perso l'anello Nba alla settima partita contro i Miami Heat di LeBron James e Dwyane Wade.
"L'hanno persa loro, gli Spurs, non l'hanno vinta gli Heat", ha detto Belinelli in una recente intervista a GQ. Ecco, lui va lì, in Texas, primo italiano di sempre a poter ambire a diventare campione Nba. Perché San Antonio giocherà per vincere anche nella prossima stagione. Capito, allora? Ci troviamo un leader della Nazionale di basket passato in una delle squadre più forti del professionismo americano. La verità è che in questi anni sono successe un sacco di cose. E' successo che a Golden State l'avevano preso come uno che meritava attenzioni e interesse, ma se lo sono dimenticati in fretta.
A giugno, Marco ne ha parlato a lungo in una bella intervista con Federico Buffa: "Nella Summer League ho giocato bene e subito dopo ho percepito fiducia e attenzione. Mi dicevano e dicevano nelle interviste: Belinelli non è un rookie, è uno che ha già fatto diverse stagioni di Eurolega. E' uno sul quale contiamo. Cominciata la stagione non ho più giocato, senza mai capire il perché". Strane cose, quelle dello sport.
Perché pare che Golden State l'avesse scelto senza neanche provarlo come si usa fare (e come avevano fatto anche i New York Knicks e i Los Angeles Lakers, per capirsi) perché pensavano davvero che meritasse una chance a prescindere. L'avevano visto in quella partita che poi è stata per tanto tempo la migliore di sempre di Belinelli: Stati Uniti-Italia del Mondiale 2006. Marco all'epoca non aveva barba era magrolino. Poco più di ottanta chili su un metro e novantasei ("quando mi facevano un fallo allora faceva molto più male"), vent'anni compiuti da poco.
Fece venticinque punti. Venticinque. Tiri da tre, schiacciate, penetrazioni. Dice: "tiravo ancora cadendo all'indietro". Nel primo tempo entrava tutto. Nel secondo fece una schiacciata in campo aperto in faccia alle stelle e al mondo intero. Buffa gli dice: "In quel momento penso che qualche sopracciglio dall'altra parte dell'Oceano si sia alzato". Ecco, probabilmente si alzò di più di tutti proprio quello di Don Nelson, il coach di Golden State. Però poi se lo dimenticò, forse per pregiudizio, forse per disinteresse, forse chissà .
Forse, adesso, anche chissenefrega. Perché quel passato non c'è più, così come il resto: il trasferimento a Toronto dove c'era già Bargnani. Una stagione inutile che Belinelli vorrebbe solo dimenticare. E' stato allora che qualcuno ha pensato: l'abbiamo perso. "Nei momenti peggiori sui social vedevo la gente che mi diceva âtorna in Italia', âtorna in Europa'''. E' stato uno dei motivi che mi hanno fatto rimanere, che mi hanno fatto pensare: io devo farcela". E' cominciata la storia di Journeyman, perché in una sera d'estate, mentre era in Europa, dopo la stagione da cancellare in Canada, Beli ricevette una chiamata del fratello: "Ti hanno scambiato con New Orleans". In viaggio, di nuovo.
Prima a Ovest, poi a Nord, ora al sud. Un uomo-pacco postale. Un viaggiatore dello sport. Fu un'altra notte maledetta quella. Notte di confusione: contento per la possibilità di fuggire da Toronto, incazzato per dover cambiare di nuovo squadra per il terzo anno di fila, deluso per essere stato scambiato senza che nessuno avesse provato a insistere con lui. Il primo sentimento ha vinto sugli altri. New Orleans è stata la curva migliore della vita. Il perché l'ha scoperto dopo, quando è arrivato, quando ha cominciato a giocare, quando ha sentito la mano di un compagno sul braccio e poi la sua voce: "Guarda che io ti passo la palla perché penso che tu possa fare canestro a ogni tiro".
La mano e la voce erano di Chris Paul. Per chi non lo conoscesse, è una specie di monumento vivente del basket americano e quindi mondiale. Uno la cui classe è unica, uno che non ha il fisico di LeBron, ma ha il cervello dei migliori di sempre. Una specie di sintesi tra Pirlo e Cruyff della pallacanestro. Era titolare in quella partita del Mondiale 2006 in cui Marco si presentò. A New Orleans disse al suo team e al suo allenatore: prendiamo quel Belinelli, è forte, vedrete. Per questo quella frase sui passaggi e sui canestri.
Succedeva che Marco, forse un po' intimidito e un po' frustrato dalle esperienze precedenti, in allenamento era un po' restio a tirare. Paul lo tranquillizzò. Ho fiducia in te, bianco. Quanto vale una cosa così? Più di un posto da titolare fisso. Perché quello diventa una conseguenza. Belinelli è rinato con quella mano appoggiata sul braccio. Sesto uomo di un quintetto forte, che si prese i playoff. Journeyman per la prima volta s'è fermato due anni nello stesso posto in America. E mentre Bargnani e Gallinari hanno cominciato a entrare nelle curve della loro carriera, lui s'è messo su un rettilineo.
Da sud a nord, stavolta. L'anno dopo, non per compensare una stagione così e così, ma per andare avanti. Perché Chicago e i Bulls sono un passo in più rispetto ai New Orleans Hornets. Non sono i tori di Jordan, ovvio. Ma sono la storia del basket e dell'Nba degli ultimi due decenni. Beli è partito ancora, per giocare, per entrare in un progetto. Troppi non se ne sono accorti, però. Concentrati sempre sul Mago e su Gallo. Come se Marco fosse il meno italiano degli italiani. A Chicago è funzionato tutto. C'è stata una partita che ha avuto lo stesso effetto di Italia-Usa del 2006.
E' stata quella contro i Brooklyn Nets, nella bella del primo turno dei playoff della stagione scorsa: mai visto un italiano che è il miglior giocatore di una partita così importante, mai visto un italiano essere decisivo, fondamentale, unico. Un cinque per lui da tutti gli altri. La vittoria di quella partita ha significato un record passato sotto silenzio o quasi: l'unico italiano ad aver mai superato il primo turno dei playoff Nba. E' così che è arrivato all'Europeo, Beli. Più forte senza essere il più visibile. Dice: "Il segreto di tutto è stato l'allenamento sulla mano sinistra. Ora faccio cose che prima non potevo fare".
S'è preso l'Italia sulle spalle, giusto qualche giorno dopo aver firmato con i San Antonio Spurs. Come a dire: ora che posso vincere l'Nba, posso provare anche a darvi un pezzo d'Europa. L'Italia è partita convinta che senza Bargnani e Gallinari, andavamo in Slovenia a fare atto di presenza. E' successo il contrario, lo scetticismo è diventato un entusiasmo anche superiore alla realtà . Belinelli è la star che si schermisce.
Non sbaglia strada e non sbaglia tiri. Non importa che cosa accadrà stasera nei quarti di finale. Il paese s'è accorto che esiste il basket anche se non possono giocare il Mago e il Gallo. C'è journeyman che gli americani chiamavano Rocky per una vaga somiglianza con Sylvester Stallone. A lui piace di più essere considerato il viaggiatore che ha trovato la sua destinazione. Non è né l'Italia né San Antonio. E' il suo posto in campo.
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