gavin brown

BONAMI ATTACK! – ‘’GAVIN BROWN, BAD BOY DELL’ARTE PER ECCELLENZA, PIAZZA L'ULTIMA ZAMPATA APRENDO UNA GALLERIA A TRASTEVERE E RIMETTENDO IN SCENA I FAMOSI 12 CAVALLI DI KOUNELLIS CHE FURONO ESPOSTI A ROMA NEL 1969 – A QUANDO LA 2 CAVALLI CITROEN?’’

patrizia-sandretto francesco bonami  e opera  di cattelanpatrizia-sandretto francesco bonami e opera di cattelan

1. GAVIN BROWN OVVERO "IL SARGENTINO DI FERRO"

Francesco Bonanni per Dagospia

 

Gavin Brown ovvero "Il Sargentino di ferro". Questo gallerista inglese trapiantato a New York, Bad Boy per eccellenza, prima di chiudere la sua galleria a sud di Chelsea per spostarsi nel nord di Harlem piazza l'ultima zampata rimettendo in scena la galleria degli zoccoli ossia i famosi 12 cavalli di Kounellis che furono esposti all'Attico di Fabio Sargentini a Roma nel 1969.

 

Chiaramente i cavalli non sono gli stessi. In ogni caso il cerchio dell'arte italiana contemporanea si chiude. Dopo i cavalli impagliati, impalati, spellati e spelacchiati di Cattelan si torna all'antico ma almeno dal vivo sperando che rimettano in produzione anche la 2 cavalli della Citroen magari Made in Greece.

 

2. INTERVISTA A GAVIN BROWN

Alain Elkann per "La Stampa"

 

Incontro il gallerista Gavin Brown in una piccola strada di Trastevere a Roma, dove sta per aprire la sua galleria. «Nel 2004 - mi racconta - con gli amici Franco Noero e Toby Webster avevamo deciso di aprire una galleria a Trastevere ma era troppo per noi e abbiamo chiuso dopo tre anni. Tutti e tre eravamo concentrati sulla nostre gallerie a casa e i tempi erano sbagliati. Lo scorso luglio ero qui in vacanza con moglie e figli e per qualche motivo, ecco, era il momento giusto. Ho conosciuto il proprietario di questa chiesa sconsacrata, e per settembre avevo firmato il contratto di locazione. E ’ ancora una chiesa, con il suo altare del ’600, ospiteremo qui mostre di artisti - a settembre l’israeliano Uri Aran - e performance».

 

Perché lei ben noto e inserito a New York, ha sentito l’esigenza di uno spazio a Roma?

«Non sono sicuro del motivo. Ho avvertito spiritualmente e culturalmente l’esigenza di rimettere basi in Europa, di ritentare l’avventura. Mio figlio Max compirà 25 anni ad agosto e io avevo 24 anni quando arrivai a New York e cominciò l’avventura. Sono stato a New York più di 27 anni, a Roma sono un turista, è un’avventura diversa, non paragonabile a quella».

 

E’ stato difficile?

«Ci è voluto un sacco di lavoro, ma sono stato fortunato a trovarmi in un gruppo di persone che ha reso quel duro lavoro esaltante. Ero andato a New York con l’intenzione di essere un artista, ma quando ho visto opere d’arte o artisti che mi sembravano significativi, un lavoro di Rirkrit Tiravanija, ad esempio, ho capito che per me era più importante sostenere le loro opere che creare le mie».

 

New York era il centro delle arti?

gavin brown foto observergavin brown foto observer

«In quel momento sì, perché rispetto ad oggi eravamo quasi nel Medio Evo. Spedivi diapositive in aereo da New York a Londra, e da Londra a Los Angeles. Ora viviamo in una realtà diversa che ha in parte contribuito a fare di New York un luogo più provinciale. Anche i centri della ricchezza sono cambiati. La Cina, per esempio. Ma non c’è nessuna città come New York. Altre città che forse si stanno sviluppando più velocemente, pensando di più al futuro, ma non esiste al mondo un’altra città dove è possibile definire se stessi come a New York».

 

E gli artisti dove sono?

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«Beh, non riesco a immaginare di rappresentare una cultura che non sia la mia. La mia è l’Occidente».

 

Che tipo di mercante d’arte è lei?

«Essendo nato come artista sono focalizzato più sugli artisti che sui clienti. Altri considerano gli acquirenti come loro principali clienti».

 

Come fa a trovare gli artisti?

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«Sono dappertutto. Si incontrano, si sentono, vengono raccomandati. Il mio amico Matthew Higgs mi ha consigliato Piotr Uklanski e ho iniziato a lavorare con lui. Elizabeth Peyton era sposata con Rirkrit e ho iniziato a lavorare con lei. Martin Creed lo conoscevo, entrambi abbiamo lavorato alla Anthony d’Offay Gallery di Londra...»

elise overland, gavin brown, hope athertonelise overland, gavin brown, hope atherton

 

Avrebbe immaginato che il mercato sarebbe diventato così forte?

«Nessuno poteva immaginare questa esplosione di ricchezza, neanche chi lavora nella sfera economica. Il boom del mercato dell’arte è stato un sottoprodotto di questa esplosione imprevista nell’economia globale: l’arte è diventata uno status symbol, la lingua franca per i super ricchi».

 

Ha cambiato il suo lavoro il fatto che ora girino così tanti soldi?

Bjarne Melgaard Theresa starting to show she will die and other works Gavin Browns Enterprise FOTO DAILY BEAST Bjarne Melgaard Theresa starting to show she will die and other works Gavin Browns Enterprise FOTO DAILY BEAST

«Ha cambiato il lavoro di tutti, anche degli artisti. E’ un processo organico, non si può non pensare ai soldi. Il mondo è cambiato. Nessuno pensava a un tale sviluppo ma il mondo sta andando sempre più in fretta e vediamo che le gallerie di moltiplicano in base alle circostanze e alle richieste».

 

Le opere d’arte sono meno incisive?

«Basta confrontare il palloncino a forma di cane di Jeff Koons con i dodici cavalli di Kounellis. L’arte riflette la sua epoca e i relativi valori».

 

Una volta l’arte era contro qualcosa?

«Non credo che si possa andare contro il capitale. Alcuni pensano che in Occidente non ci siano più artisti».

 

Le piace ancora il suo lavoro?

«Sono molto contento di essere a Roma con la chiesa accanto. E’ un sogno e allo stesso tempo mi piace molto essere a New York al centro della tempesta. A New York non sai mai, potresti svegliarti la mattina e trovare che la tempesta sta spazzando via tutto».

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Ma tempeste a parte pensa che alcuni degli artisti che rappresenta resteranno nel tempo?

«Penso che la tempesta sia senza precedenti, nel senso che coinvolgerà tutto. Sarà una tempesta in un mondo interconnesso».

 

È preoccupato?

«Sono in ansia tutto il tempo. Ma personalmente non posso fare nulla. Il lavoro di alcuni artisti resterà».

 

FRANCESCA MARTINOTTI JANNIS KOUNELLIS FRANCESCA MARTINOTTI JANNIS KOUNELLIS

Sta correndo molti rischi?

«Sono uno che si prende rischi in modo compulsivo. Ad esempio, spostare la galleria ad Harlem. È di per sé un’enorme incognita».

 

La concorrenza è forte?

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«Non è più un affare per animi delicati, è un’industria».

 

I prezzi continuano a salire?

«Ogni maggio e ogni novembre a New York alle vendite, si dice: “E più grande e continua a andare su e su”. Diventerà sempre più grande e noi continueremo a giocare».