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IL DRAGONE NEL PALLONE - PER DIVENTARE UNA POTENZA CALCISTICA, LA CINA HA DECISO CHE LE SCUOLE INSERIRANNO IL CALCIO COME MATERIA OBBLIGATORIA - SARANNO COSTRUITI 70 MILA IMPIANTI E NEL 2030 CI DOVRÀ ESSERE UN CAMPO OGNI 10 MILA PERSONE - LE NUOVE STAR DEL CALCIO CINESE

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Gabriele Battaglia per “Il Venerdì di Repubblica”

 

Pechino. «Perché la nostra nazionale fa così schifo?». I cinesi a volte vanno dritto al punto. Immaginate una sfida calcistica amatoriale tra la rappresentativa dei giornalisti stranieri di Pechino e una delle decine di squadre della CCTV, la televisione di Stato dell’ex Celeste Impero. Ogni settore, canale, ufficio ne ha una, dalle news al marketing, passando per la pubblicità.

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Nel terzo tempo post-partita, bevendo una birra, l’avversario di pochi minuti prima fa la ricorrente e fatidica domanda a due giornalisti, uno brasiliano e uno italiano. I quali si scambiano un rapido sguardo d’intesa e offrono quindi una risposta unanime: «Perché noi siamo cresciuti giocando a calcio sempre e ovunque, in strada, in cortile, in spiaggia, nell’intervallo a scuola – spesso con una palla di carta tenuta insieme dallo scotch – in compagnia ma anche da soli, tirando contro il muro per ore e ore e ore. Voi no, i vostri bambini devono andare al corso di inglese, di pianoforte, di buone maniere e poi, forse, alla scuola calcio di un’ora, due volte la settimana, sempre che i genitori vi scorgano qualche possibilità di carriera. È già tanto se stanno in piedi senza inciampare nel pallone, i vostri calciatori».

 

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Eppure, la passione c’è, e tanta. Qui c’è gente che ha chiamato il figlio «A Mi», da Ac Milan. Allo Stadio dei Lavoratori di Pechino, assistere a una partita del Guo’an allenato da Alberto Zaccheroni significa fissare non tanto il campo – dove, appunto, lo spettacolo è quello che è – bensì gli spalti, dove due gruppi di ultras dislocati in punti diversi delle gradinate cantano e saltano per 90  minuti per sostenere i ragazzi in maglia verde. Tutto lo stadio grida di continuo sha bi, insulto della Pechino popolare assimilabile all’inglese cunt.

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E quando gli avversari fanno una sostituzione non manca mai shabi huan shabi, yuelaiyue shabi («un shabi sostituisce un shabi, siete sempre più shabi»). Il punto è che l’insulto è spesso rivolto anche ai propri giocatori perché il calcio è sì amore, ma anche rabbia, delusione, odio. Da anni, il Guo’an soccombe di fronte al dominio incontrastato del Guangzhou Evergrande, la squadra che fu di Lippi e Cannavaro. Così come la nazionale soccombe di fronte a tutti.

 

Ora la Cina vuole diventare «superpotenza calcistica». È questo infatti l’obiettivo indicato dal presidente Xi Jinping circa un anno fa e ripreso a inizio aprile da un documento ufficiale della China Football Association, l’equivalente della nostra Figc. Per riuscirci, si è deciso che le scuole elementari e medie inseriranno sempre più il calcio come materia obbligatoria.

stephane mbia  sbarca in cinastephane mbia sbarca in cina

 

Saranno 20 mila nel 2020 e addirittura 50 mila del 2025. Saranno invece 70 mila gli impianti che verranno costruiti a breve nel Paese e, per il 2030  ci dovrà essere un campo di calcio ogni 10 mila persone. Complementare all’investimento domestico, c’è l’espansione nel mondo calcistico internazionale. Diversi tycoon cinesi hanno già speso milioni di euro nel calcio europeo e dalle nostre parti è diventato cinese il Pavia Calcio, mentre da tempo si vocifera di vere o presunte «cordate cinesi» interessate al Milan, i cui tifosi scrutano speranzosi a Oriente pregando di sfuggire a una decadenza analoga a quella economica e psicofisica del suo proprietario.

 

jackson martinez sbarca in cinajackson martinez sbarca in cina

Intanto società e magnati cinesi si lanciano nel nuovo business. Nello scorso mercato estivo, i club d’oltre Muraglia hanno fatto shopping milionario in Occidente. Il romanista Gervinho e l’ex Napoli Ezequiel Lavezzi si sono accasati all’Hebei China Fortune, mentre Jackson Martinez dell’Atletico Madrid è andato al Guangzhou Evergrande, campione cinese in carica.

 

Dopo qualche titubanza, pure Fredy Guarin dell’Inter è finito a Shanghai. Le squadre della China Super League hanno speso in totale 317 milioni di euro, più di quanto abbiano fatto i club della Premier League inglese. La Serie B cinese – che si chiama League One – ha invece speso più di Bundesliga tedesca, Liga spagnola e campionato francese, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa ufficiale, Xinhua.

 

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Infine c’è l’aspetto amministrativo, con la China Football Association che sarà scorporata dall’Amministrazione Centrale per il Calcio trasformandosi in azienda più o meno autonoma, che sappia camminare con le proprie gambe. La nuova organizzazione sarà indipendente nella scelta del commissario tecnico, dei salari, delle strategie di marketing, delle sponsorizzazioni, senza la continua spintarella – e intrusione – della politica. Almeno così si dice. È una riforma che nasce dall’alto, ma che intende mobilitare tutta la popolazione.

 

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I cinesi, come al solito, colgono i segnali della politica. Se per scimmiottare vecchi slogan, ora «giocare a calcio è glorioso», c’è immediatamente chi pensa di farne un business. Ma ci sono quelli capaci e quelli no, come sempre quando si tratta di palla rotonda. Li Shitao gioca da sempre, ma ha cominciato ad allenare da un anno. All’inizio aveva solo cinque bambini, gli stessi a cui insegnava inglese e che ha trascinato in un campetto sintetico, pagandolo di tasca sua. Attività in perdita.

 

Poi è partito per un viaggio studio in Europa dove, attraverso i contatti della sua ragazza olandese, ha visitato club professionali e amatoriali dei Paesi Bassi. «Volevo liberarmi la mente», dice. È stato accolto da giocatori e allenatori del Feyenoord, ma soprattutto dallo staff dell’HBS, un club dell’Aja che pur essendo tra i fondatori del calcio olandese non è mai entrato nel circuito professionistico. Una filosofia.

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«Mi hanno fatto tenere un allenamento alla squadra dei ragazzi di 15-16 anni» dice compiaciuto Shitao. Ora, di bambini ne ha quindici e ha preso in affitto il grande campo di un istituto scolastico nel centro di Pechino. Per trovarlo, ha mosso i suoi amici, il cosiddetto guanxi, finché è arrivato un businessman che fa affari con le scuole, et voilà. «Tao» (per gli amici) ha 34 anni, tifa Arsenal e con la sua piccola scuola calcio indipendente fa una vita da globetrotter. Due ore a settimana qui, altre due ore in un impianto a cinque all’interno di un compound diplomatico, un’ora esclusivamente dedicata alle bambine, e gratuita, nell’ancora più minuscolo rettangolo sintetico del giornale Beijing News. «Il calcio è vita» dice, «certo, io voglio anche creare un business, ma non si va da nessuna parte se non c’è la passione».

 

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A lui, il pallino per il pallone è venuto durante la finale di coppa intercontinentale del 1989, quando il papà e lo zio l’hanno piazzato nell’angolino di una stanza della periferia Pechinese per vedere Milan-Nacional di Medellin. «Sono un ragazzo di strada, io». Li Shitao fa parte di quel piccolo gruppo di cinesi che i calci al pallone li hanno tirati per davvero, nei vicoli. «Il calcio è vita», appunto. È un centrocampista dai piedi buoni che ogni tanto si innamora troppo del pallone, voleva diventare professionista, ma non è stato possibile.

 

«Da noi, nelle giovanili, giocano i figli dei funzionari e di quelli che hanno le conoscenze. E poi si comincia tardi, a dodici, tredici anni». Ha fatto giurisprudenza ma non gliene fregava nulla, solo che all’università di Pechino c’era un grande campo di calcio. Dopo la sudatissima laurea, si è messo di nuovo a inseguire il sogno. Ora sta cercando di cavalcare l’onda dell’industria pallonara di Stato e le facilitazioni che il governo cinese offre ai giovani che vogliono aprire una start-up: registrazione veloce, basso capitale sociale, finanziamenti.

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Il problema è che il business è stato annusato da parecchi: «C’è gente che non sa neanche giocare a calcio» spiega Li Shitao. «Il tipo che organizza gli allenamenti dopo di me al campetto del Xinjingbao non ha neppure idea di come sia fatto un pallone. E infatti l’ultima volta non ci è andato manco un bambino, ai suoi allenamenti». Lo dice un po’ perfidamente, mostrando una foto sullo smartphone in cui si vede un uomo solo e dall’aria sconsolata, seduto sulla panchina dell’impianto.

 

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Lui invece ha un’idea. Con la sua ragazza olandese ha unito l’utile al dilettevole. Tutti gli insegnamenti calcistici sono trasmessi in inglese. Agli allenamenti si parla solo nella lingua d’Albione. «Poi, a un certo punto, fermiamo il gioco e mettiamo i ragazzini di fronte a una lavagna dove scriviamo parole collegate al “tema” del giorno. Che ne so, si va dai ruoli all’attrezzatura sportiva, per poi passare alle notizie che riguardano i calciatori o i grandi club internazionali. Una volta abbiamo fatto tutta una storia sul concetto di “cartellino rosso”».

 

xi jinping gioca a calcioxi jinping gioca a calcio

In questo modo, sostiene Tao, anche i genitori si convincono dell’utilità del calcio. Lezioni d’inglese giocando, così non si perde tempo. Forse passa di qui la costruzione di una «superpotenza calcistica» nell’era della competizione.