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Marta Serafini per il “Corriere della Sera”
«Siamo nati entrambi nello stesso Stato, il Queensland, in Australia. Ma ho conosciuto Julian solo molti anni dopo aver lasciato il mio Paese». Julian è Assange. Chi parla è Melinda Taylor, uno dei 145 legali del team del fondatore di WikiLeaks. Una squadra enorme, che si districa da sei anni tra ricorsi e carte bollate per salvare l' hacker. Ma tra tutti gli avvocati, Taylor è forse quella che difende il suo assistito con maggior caparbietà.
Quarant' anni, due bambini, una di 7 e uno di 3, Melinda non si è mai tirata indietro di fronte ai personaggi scomodi.
Laurea in legge all' Università del Queensland nel 1998, ricercatrice con Antonio Cassese quando era presidente del Tribunale della Ex Jugoslavia, già membro del collegio di difesa dell' ex presidente serbo Slobodan Milosevic, oggi Taylor vive e lavora all' Aja. «Dirò qualcosa che può suonare banale ma ne sono convinta: ogni imputato ha diritto a una giusta difesa. Un processo non equo non può che generare conflitti futuri», spiega al Corriere al telefono.
Nel suo curriculum, tra gli assistiti celebri, non ci sono solo Assange e Milosevic.
«Forse in Italia qualcuno si ricorda ancora di me. Sono ancora particolarmente grata al vostro Paese». Non è passato molto tempo da quando, nel 2012, Melinda atterrò a Ciampino su un aereo del governo italiano. «Allora facevo parte del gruppo di difesa del figlio di Gheddafi, Saif al Islam, nel suo processo di fronte alla Corte penale internazionale per crimini contro l' umanità. Con tre colleghi ero volata in Libia per aiutarlo a trovare una linea di difesa. Ma mi arrestarono con l' accusa di avergli passato dei documenti. Sono stata in cella un mese», racconta.
Per qualche mese, dopo quell' episodio, Melinda sceglie casi meno complicati. Fino ad Assange. È la fine del 2012, poco dopo che lui si è rifugiato nell' ambasciata ecuadoriana di Londra per evitare l' estradizione negli Stati Uniti dove verrebbe processato sulla base dell' Espionage Act , con l' accusa di aver diffuso segreti che mettono in pericolo la sicurezza nazionale. «Un collega che stava già lavorando nel suo team mi ha parlato del caso e mi ha detto: devi assolutamente conoscere Julian e lavorare con noi. E così è iniziato tutto».
Il caso dell' hacker australiano non è semplice, richiede una dedizione particolare.
«Lavoro per lui pro bono , come molti altri miei colleghi. Assange è vittima di una persecuzione che ha una chiara matrice politica. Basti pensare alle parole di Hillary Clinton che ha minacciato di farlo uccidere da un drone. O a quelle dei funzionari statunitensi che lo paragonano a un terrorista, è chiaro come Assange non verrà mai giudicato come un qualunque altro imputato».
Martedì Taylor era a Berlino per la conferenza stampa per i 10 anni di WikiLeaks. «Ancora oggi, nonostante le Nazioni Unite abbiano dichiarato illegale la sua detenzione, Julian è rinchiuso in uno spazio angusto dove non può ricevere cure mediche adeguate. Intanto vengono spese migliaia di sterline per sorvegliarlo».
La speranza, però, è che, concedendo alla Svezia (dove Assange è sotto indagine per violenza sessuale) la possibilità di interrogare da un procuratore ecuadoriano, la posizione di Stoccolma si ammorbidisca. Taylor sa bene che dopo le elezioni statunitensi le cose potrebbero mettersi male, soprattutto se dovesse vincere Clinton. «Non a caso Julian ha dichiarato che WikiLeaks dovrà continuare anche senza di lui». Ma Melinda, come tutti gli avvocati, non ama perdere. E promette battaglia.
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