UN FARAONE RIDOTTO A PRANDELLI: CHE FINE HA FATTO EL SHAARAWY?

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Franco Ordine per IlGiornale.it

Undici metri appena. Questa è la distanza, non calcistica, ma solo metaforica, tra Italia e Spagna dopo la semifinale di Confederations cup decisa ai rigori, giovedì notte, nella fornace di Fortaleza. Attenti, è solo una distanza simbolica per una sfida che, in tv, ha fatto il pieno di ascolti degni di un vero mondiale (12 milioni e mezzo gli spettatori su Rai1, 47,55% lo share, aggiunto al 5,5% di Sky) e sui media collezionato giudizi di segno positivo come mai accaduto in passato.

È vero, Prandelli gode di buona stampa ma non è solo questo il merito principale. Proprio il ct ha dedicato il «commoventi» ai suoi combattenti senza esaurire l'elenco dei riscontri positivi. É il caso infatti di aggiunger la qualità del calcio esibito e la dimostrazione di sapienza tattica nell'affrontare il palleggio spagnolo. «Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto e anche di come siamo riusciti a soffrire» è il riconoscimento di Buffon, che vale come unguento sulla sconfitta e il visto per la finale due al cospetto di Cavani e dell'Uruguay. «Dovevamo far gol nei 90'» è l'osservazione più pertinente proveniente dalla Nazionale.

Ecco allora il primo bilancio su questo mondiale simulato (esperienze utili per difendersi da clima e calendario folle): l'Italia di Prandelli non ha il gol facile ma ha cuore, prima qualità che riluce dietro lo 0 a 0 imposto agli spagnoli per 120 minuti. E con il cuore possiede anche il copione tattico giusto per mandare in crisi un rivale accreditato di una formula quasi magica. Infine ha il senso di appartenenza che sembra cementare questo gruppo di azzurri: non è una qualità di poco conto o un luogo comune, è un cassetto da cui si può sprigionare una forza che soccorre nei momenti difficili.

«Se fossimo andati in finale, lo avremmo fatto su quattro zampe» è la battuta del portierone di Juve e club Italia ed è il modo giusto per liquidare rimorsi e rimpianti. Specie se il capitolo maledetto dei rigori si può chiudere con la confessione di Giaccherini («avrei dovuto tirarlo io quel rigore, non me la sono sentita»), col proposito di Bonucci («adesso mi allenerò tutto l'anno a tirare i rigori perchè nel mondiale non voglio ripetere l'errore») e l'inevitabile se di Buffon («ho pensato a Mario, se ci fosse stato lui...»).

Allora, undici metri a parte, ecco cosa è mancato all'Italia. Balotelli innanzitutto e un suo degno sostituto. Qui si può e si deve aprire una parentesi per chiedere conto al Ct di El Shaarawy. Non può esserci stato uno scadimento di forma ad personam se il resto del gruppo ha tirato fuori le vitamine migliori. Non può essere nemmeno una questione di ruoli: nemmeno Giovinco, subentrato a Gilardino, è un centravanti.

Trattasi di un mistero da chiarire al più presto, insieme con il colloquio preparato da Galliani per conto del Milan. Balotelli c'è, serve una spalla degna del suo talento balistico (uno al posto di Cassano, una musa di Mario per intenderci) oltre che qualche alternativa più affidabile di quella trascinata in Confederations cup. Stessa necessità emerge nelle pieghe di una difesa che a ranghi completi può competere con chiunque, ma appena perde i pezzi (Maggio bene al posto di Abate, De Sciglio benissimo da laterale sinistro, Barzagli ko e al suo posto deve retrocedere De Rossi per mancanza di sostituti validi) va subito in affanno.

Anzi: De Rossi ha riproposto lo stesso rendimento top di Danzica, girone dell'europeo, ma il suo scudo è fondamentale per garantire a Pirlo (che salterà la finalina come Barzagli, in dubbio Marchisio) la necessaria libertà d'azione. Da qui al mondiale, è questo il lavoro di Prandelli raggiunto dai complimenti di un grande ex, Gianni Rivera, che ha promosso il rendimento della Nazionale, «qualunque sia l'esito finale del torneo, col terzo o col quarto posto».

 

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