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Alessandra Mammì per Dagospia
Giocando d'anticipo sulla Biennale d'Architettura e su tutto l'ambaradam di mostre e feste che ne consegue, Palazzo Grassi ha inaugurato ieri, tutto da solo, la sua mostra dell'anno. Tanto è sicuro; sarà un protagonista della festa in arrivo anche senza le trombe del vernissage. Prima di tutto perché un passaggio nel tempio di Pinault è d'obbligo anche per gli architetti. Secondo:perché basta l'effetto speciale della hall immersa in abbaglio luminescente per dire che la scommessa è vinta in anticipo.
"L'illusione della luce", curata come sempre da Caroline Bourgeois e allestita con opere di collezione Pinault, è tutta una storia di abbagli. Il primo che ci avvolge come una nebbia arriva da Doug Wheeler, un californiano che vive ai confini del New Mexico. Fondò con Turrell e Robert Irwin il movimento Light& Space ma non deve essere stato indifferente neanche a Hollywood. O almeno ne respira lo spirito, se costruisce questo effettone ad alta definizione come se fossimo su un set di un kolossal fantasy. Ma basta entrare nella scena e si scoprono i faretti, basta aggirare la parete e si vede che tutto il mistero sta in un scatolone concavo, tenuto insieme da dadi&bulloni. Meraviglie da maestranze, come a Cinecittà dei tempi d'oro. Il trucco c'è e si vede. Del resto anche l'arte come il cinema è solo fabbrica di sogni.
Dall'estasi dell'abbaglio ottico al mal di pancia di quello storico. Sono i filmati che registrarono l'esperimento atomico a Bikini. Non sappiamo come il cineasta molto sperimentale Bruce Conner riuscì a farseli dare dalla Cia. Tant'è. Li rimise insieme e ne fece il catastrofico più agghiacciante del secolo. Anche perché tutto vero. Il fungo atomico scoppia, s'innalza per 13 chilometri con una ricchezza di forme barocche. Conner ci aggiunge la musica minimale e ipnotica di Patrick Gleeson e Terry Riley. Si grida meraviglia, si riconosce la bellezza all'orrore. Forse è il Sublime in versione XX secolo. Ci sembrò ancora più terribile questo filmato quando fu mostrato nella scuola ebraica di August Strasse per la Biennale di Berlino firmata Gioni&Cattelan, qui forse indugia forse un po' troppo nella sua grande bellezza. Per cui sarà bene ricordare che tutti quelli che la filmarono dagli elicotteri (ben 500 telecamere più i piloti) morirono per le radiazioni. E non fu bella morte.
E poi si arriva all'abbaglio dell'animo e della mente. Storia di uno schizofrenico si potrebbe chiamare la installazione a più schermi e a più storie che narra Eija-Liisa Ahtila nella au asala al primo piano . Storia vera che lei ha raccolto dalla esperienza di Aki V. ingegnere informatico di Nokia impazzito e vittima di episodi psicotici. La sua vita spezzata dà qui vita a un racconto frammentato dove diventano reali le sue allucinazioni e prendono corpo ai fantasmi. Ci si può a restare a lungo nella penombra a sentirli raccontare.
Secondo la curatrice se si vuole fare una mostra sulla luce bisogna in qualche modo farne a meno. Senza il buio non c'è luce ( De la Palisse direbbe) e dunque parte del percorso si svolge tra tende che custodiscono video o esperimenti fatti di niente con risultati magnifici ( vedi Julio Le Parc) come solo quegli uomini lucidi degli anni Sessanta che operavano fra scienza ottica e optical art riuscivano a ottenere con due specchietti e una lampadina. L'intelligenza in effetti è già una luce.
Certo quando si arriva nella grande stanza del piano nobile e ci si trova accarezzati dalle tende bianche leggere di mussola ricamata che nascondono foto di giovinetti scattate in Vietnam da un soldato americano (di certo gay,) accanto a storie di un missionariocondannato a morte, nell'eleganza dello spazio e nella poesia della mise en scene firmata da Danh Vo (vietnamita rifugiato piccolissimo in Europa ai tempi della guerra ci si chiede: ma qui di quale luce (o abbaglio) stiamo parlando?
Ora è tipico cdelle mostre curate da Caroline Bourgoise quello di essere sempre sul limite dell'infedeltà al tema. E' il suo bello. Certezza del dubbio e dubbio della certezza. Quando Caroline parla di amore ci si può trovare nell'orrore e se cita la luce non è detto di trovare i neon. Invece qui ci sono.
C'è il celebre monumento a Tatlin di Dan Flavin. l'insegna trionfale sulla scalea di Parreno la copia in tubi colorati con cui Bertrand Lavier rifà un Frank Stella. C'è anche un neon interattivo di Robert Irwin, uomo nato nel 1928 e militato nella ricerca americana, artista che invita il visitatori a spegnere e accendere gli interruttori per modificare a suo gusto l'opera e partecipare all'atto creativo.
Ma lo sappiamo anche questo è un abbaglio. Un abbaglio anni Sessanta, Settanta quando si parlava di libertà , democrazia dell 'arte, partecipazione, rivoluzione. L'abbaglio più grande, non a caso tra gli ultimi del percorso.
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