“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Francesco Persili per Dagospia
«Vi giuro che non è buono». Dopo venticinque anni la finale scudetto Milano-Livorno fa ancora discutere ma Flavio Tranquillo, telecronista Sky semplicemente “The Voice” per gli amanti del basket, non ha cambiato idea sul canestro a fil di sirena di Forti. Non lo giura più da «radiocronista tifoso embedded», come aveva fatto quel pomeriggio del 1989 nella bolgia di Livorno, ma ne resta convinto: «Quel canestro non era valido».
Un magistrato in pensione, Pierfrancesco Casula, ha sostenuto in un libro di memorie (“LGM, Lessico Giudiziario Minore) la tesi che quello scudetto era stato deciso a tavolino dopo riunioni di palazzo e l’interessamento dello stato maggiore del Psi: «Decise la politica, non il campo».
La tesi del “complottone” viene smontata da Tranquillo nel suo libro (“Altro tiro, altro giro, altro regalo”, edizioni Baldini&Castoldi, 235 pp) che contiene anche la testimonianza dell’arbitro di quella partita, Pasquale Zeppilli, che da allora ha modificato il suo cognome in Zeppillo.
altro tiro altro giro altro regalo cover libro Tranquillo
«Mi trovavo in una posizione ideale, dietro Fantozzi, con una buona visuale di Forti, e, soprattutto, vicinissimo al tavolo - ricorda il direttore di gara - il che mi ha permesso di sentire molto bene la sirena e di coglierla nel momento in cui Forti stava raccogliendo la palla annullando immediatamente». No buono, avrebbe detto Andy Luotto.
L’arbitro segnalò subito che il canestro non era valido al punto che il telecronista di una tv livornese mormorò sconsolato “Non lo dà buono” e i cestisti della Philips Milano Pessina e D’Antoni imboccarono esultando la strada degli spogliatoi. «Lo scudetto di Milano è legittimo», scolpisce Tranquillo, che passa ai raggi X il ruolo del radiocronista tifoso embedded e fa mea culpa: «Tifare, ossia usare la pancia al posto del cervello è ostacolo insormontabile nella ricerca sui fatti, lascia in chi ti ascolta il dubbio che la tua parola sia viziata da pregiudizi e appartenenze, me ne sono accorto troppo tardi, purtroppo…»
Non solo tifoso “trinariciuto”, Flavio Tranquillo è stato – parole sue - giocatore scarsissimo, buon arbitro e volenteroso allenatore. Ha conosciuto il basket da diverse angolazioni ma è stato grazie a un «colpo di culo» se la sua strada si è incrociata con quella di Federico Buffa. Dal campo Olimpia di via Soderini a Milano allo storytelling delle supersfide Nba. Come Rino Tommasi e Gianni Clerici nel tennis, i due si sono inventati un nuovo linguaggio fin dalla pionieristica radiocronaca a due voci ad inizio degli anni Ottanta.
«Fatte le dovute proporzioni – spiega Tranquillo - Buffa ha ricoperto per me la stessa funzione di Buscetta per Falcone rispetto alla conoscenza di un pianeta, il basket americano, del quale io ignoravo tutto mentre lui conosceva ogni anfratto con inaudita profondità».
Il basket, o meglio il Gioco, come centro di gravità permanente, l’unico vero «reality show» contemporaneo in cui al di là della cronaca resta abbondante spazio per ragionare di tecnica, tattica, storia, politica, musica e letteratura. Così trovi Dalla che si emoziona per Danilovic, Baricco per Michael Jordan e Neffa che trova qualcosa di poetico nello sguardo di Tim Duncan, la miglior ala grande di sempre degli Spurs che ha sfondato il muro dei 25 mila punti come se fosse la cosa più normale del mondo.
Tra richiami a Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa e Indro Montanelli, il racconto di Tranquillo mette insieme l’atletica giocata (copyright Aldo Giordani) e il rispetto delle regole, la «rockstar» LeBron James e la forza tranquilla di Bodiroga, la metafora e la contaminazione. Lo zar Sabonis e Mario Brega (“sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma). Valerio Bianchini, Carmelo Bene e Dan Peterson, «il Michael Jordan degli allenatori e dei telecronisti»: un visionario che come l’ex campione dei Bulls ha tracciato una strada che prima non esisteva.
Resta la rabbia nei confronti di chi ha diffuso la versione secondo la quale sarebbe stato “The Voice” a convincere i vertici di Sky a decretargli un non meglio specificato ostracismo che portò nel 2005 al divorzio con l’ex coach di Milano passato su Sportitalia.
Scrive Tranquillo: «Ho urlato Dan-Dan-Pe-terson dai popolari alle rimonte della sua Banda Bassotti, ho litigato con genitori amici e conoscenti per sentire le sue mitiche telecronache, so cos’è il rispetto professionale e a quali persone si deve. A Dan Peterson questo rispetto si deve e si dà. Se potesse pubblicamente dire che io non ho avuto nulla a che spartire con la vicenda del suo divorzio da Sky mi sentirei meglio».
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