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Marco Azzi per “la Repubblica”
Uno su mille ce la fa. «Anche meno, adesso lo so: non ho più l'incoscienza di quando ero un ragazzino e avevo in testa solamente il pallone, quello e basta, altro che i libri». Antonio Floro Flores, 32 anni, ex scugnizzo del Rione Traiano e attuale attaccante del Sassuolo, tirava calci già allora: per strada e alla vita.
«A scuola andavo contro voglia, convinto che fosse in realtà tempo sprecato, tanto mi piaceva solo fare gol. Ma non mi sentivo un predestinato e non pensavo che sarebbe diventato un lavoro: mi divertivo e basta, con la follia spensierata della mia giovane età. Ho capito molto più tardi che mi era andata bene, guardandomi alle spalle».
Da uno dei quartieri più popolari e a rischio di Napoli alla serie A: e non è stata una passeggiata. «Per questo ho voluto raccontare la mia esperienza al mensile della Associazione Italiana Calciatori: con l'orgoglio di chi ce l'ha fatta e senza nascondere le difficoltà che ho dovuto affrontare durante la salita».
C'è un passaggio forte, Floro Flores: l'arresto per pedofilia del suo primo allenatore...
«Pazzesco, chi se lo dimentica. Non avevo mai giocato su un campo di pallone vero e per togliermi dalla strada, con tantissimi sacrifici, mio padre decise di iscrivermi alla scuola calcio. Ma sul più bello arrivò la polizia e si portò via l'allenatore: fu una beffa, uno choc, anche se per fortuna non ho mai subito molestie».
Poteva essere la fine, invece è stato l'inizio...
«Erano anni duri, nel quartiere: a volte sparavano per strada, ma passato il pericolo ci rimettevamo subito a giocare. Per tanti di noi il calcio sembrava l’unica speranza. Ho fatto carriera in buona compagnia: Cannavaro, Foggia, Cutolo, tutti ragazzi degli anni '80».
Quattro belle eccezioni: e la regola?
«La regola provo a spiegarla ogni giorno ai miei figli, soprattutto al maschio: viene prima l’istruzione, nemmeno un calciatore può farne a meno. La mia gavetta è stata più dura».
L’inizio choc l’ha già raccontato, e poi?
«Sognavo di giocare nel Napoli, andare via è stato difficile. Ho fatto carriera lontano da casa, da emigrante: provando a recuperare il tempo perduto anche con lo studio ».
Perugia, Arezzo, Udine, Genova, la parentesi in Spagna, Sassuolo: ha tagliato i ponti col passato?
«No, il mio legame con Napoli resta forte: ci abitano i miei genitori, gli amici, torno a Rione Traiano appena posso. Una partita a carte, a biliardino: vite più normali della mia, rispetto a vent’anni fa Napoli è cambiata, in meglio».
È cambiato anche Floro Flores…
«Tiro sempre calci, ma solo in campo. Fiero dei sacrifici che ho fatto per arrivare dove volevo e delle difficoltà che ho dovuto affrontare ».
Uno su mille ce la fa.
«Ma sono di più quelli che non hanno fortuna: ci penso spesso, ne ho passate anche io».
È per questo che un anno fa provò ad adottare Carmine Francesco, il bambino abbandonato nella circumvesuviana di Baiano?
«Io e mia moglie Michela volevamo fare del bene. Le carte sono andate avanti, ma gli avvocati mi hanno detto che purtroppo non è tanto semplice. Basta così, però: non sono in cerca di pubblicità. Il calcio mi ha dato tutto: anche quella».
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