NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
L’aneddoto di #Malagò su Dino #Zoff durante la presentazione del libro di #Lazialità su Felice #Pulici @laziopress #sslazio #durone pic.twitter.com/5SHZPCzQ9s
— Patrizio Pasqualini (@pasqualinipatri) 9 aprile 2019
Francesco Persili per Dagospia
“Il portiere è un uomo solo? Io non sono mai stato solo, in porta parlavo con il mondo. Nel vecchio Olimpico, senza copertura, ogni tanto guardavo verso la Madonnina di Monte Mario e mi rivolgevo anche a lei: “Vedi un po’ quello che puoi fare…”. Le parole di Felice Pulici, tratte da una vecchia intervista a Tv2000, rimbombano all’Aniene colorato per una sera di biancoceleste.
Va in scena la presentazione del libro (“Per Sempre Felice”, collana Lazialità) dedicato al portiere del primo scudetto della Lazio, scomparso lo scorso dicembre. “La sua è stata un’epopea incredibile”, spiega il numero 1 del Coni, Giovanni Malagò: “Campione indiscusso, uomo speciale e dirigente illuminato, anche del Coni. Era tifoso ma volava alto. Lui, uno dei simboli della Lazio ha collaborato per anni con un Presidente del Comitato regionale del Coni come Riccardo Viola, simbolo della Roma”. Un ‘unicum’ anche la sua storia che racconta di oratori e palloni finiti sotto gli autobus, di guanti di lana bagnati e briscole bugiarde, di litigate con Martini negli spogliatoi (“Non c’hai un capello..”) e goliardate di vecchi cronisti (“C’è Felice? No, è uscito. Impossibile, lui non esce mai…”) fino al giorno che vale una vita, forse due. 12 maggio 1974. Quando esplode la festa per il tricolore biancoceleste sul prato dell’Olimpico, lui improvvisa uno slalom e si precipita negli spogliatoi. Deve scappare all’aeroporto perché gli è nato il figlio. Ma si accorge che Martini gli aveva rubato le scarpe…
“Ci sono diversi Pulici. Uno di questi si presenta con il passo da bullo mostrando al pubblico un uomo spavaldo, un ragazzaccio discolo e scavezzacollo che è meglio tenere alla larga. Invece questa è tutta esteriorità che serve a mascherare il vero Felice Pulici. L’antipersonaggio. Un uomo semplice, un atleta coscienzioso, uno che ha fortissimamente voluto il successo”. Così scriveva Enzo Tortora su ‘L’Intrepido’ nel 1974. “Quello che per due anni è stato il portiere meno battuto d’Italia è quello che concede meno alla platea. Un erede degnissimo degli Sclavi e dei Gradella, dei Sentimenti IV e di Lovati”, il riconoscimento del lazialissimo Sandro Ciotti lo riconnette alla grande tradizione dei numero 1 biancocelesti. “I portieri sono innamorati del ruolo e allenati alla responsabilità in tutti i campi. E Pulici lo ha dimostrato sempre”, assicura Dino Zoff. “Mi ha fatto diventare famoso”, Bruno Giordano rammenta il gol vittoria nel famoso derby del 1976 quando Felix parò anche le mosche. Si disse che “volò con le ali di Maestrelli”. “Senza di lui avremmo perso 5-1, chiosa Giordano”.
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Ci sono diversi Pulici, già: il “portiere-muro”, il responsabile del settore giovanile (Nesta e Di Vaio, i suoi gioielli), il dirigente con Cragnotti al tempo del secondo scudetto, il giurista che difende la Lazio nel processo sportivo di Calciopoli, il cattolico che parla di fede con Ledesma in tv e legge Sant’Agostino, il segretario della Federazione Sordi. E sempre l’innamorato della Lazio “è lei che ti sceglie e, come i giovani figli di Sparta, attrae a sé solo chi è disposto a soffrire, perché quando c’è la Lazio in mezzo non c’è mai nulla di facile”.
“Con lui non si parlava, si urlava, ricorda Nando Orsi, “sfogava nell’irruenza della voce la sensibilità che aveva dentro”. “Parlare della Lazio con lui era un combattimento per noi giovani giornalisti. Una volta mi raggiunse al Canottieri Roma per replicare a una critica: ‘Cosa hai detto? Non siamo organizzati? Te lo dimostreremo domenica”.
Giampiero Galeazzi condivide con Dagospia altri ricordi biancocelesti a partire dalla fuga clamorosa dal Foro Italico: “Per la Lazio nel 2000 mollai la diretta della finale degli Internazionali di tennis. La Juve stava perdendo a Perugia e questo voleva dire scudetto per i biancocelesti. Io non ce la feci più. Abbandonai la telecronaca e mi precipitai all’Olimpico. Presi la troupe del tennis. A uno dissi, damme er microfono, mi buttai per strada e iniziammo. L’incontro col frate e quella domanda a bruciapelo. “C’è un Dio allora?”. Un servizio storico. “Ho avuto fortuna, libertà e molta fantasia. Agli Internazionali, l’intuizione del villaggio del Foro, poi ripresa da Cino Marchese. Nelle tende vicino al campo si distribuivano vino rosso e panini. I vip, da Gassman a Tognazzi, si fermavano e così mi misi a fare le interviste. Risultato? Er villaggio era diventato più importante del torneo. Stavano tutti a magnà e nessuno andava più a prendere freddo al campo Centrale”.
I servizi dagli spogliatoi e le interviste a Maradona, Dino Viola, Agnelli, Platini hanno fatto storia. “C’era maggiore familiarità e empatia con i grandi personaggi dello sport, con Rummenigge andavamo a cena insieme a Los Angeles. Oggi Federer mi sembra un po’ troppo sacrestano, ci vorrebbe un McEnroe. Djokovic? Ecco, lui è un bel personaggio,parla perfettamente l’italiano. Nel calcio sarei curioso di sapere se Ronaldo è quel professionista che raccontano che sia. Non solo in campo ma nel modo in cui si muove nel rapporto con i media”. Chi è il nuovo Galeazzi? Di eredi non ne voglio parlare, perché non sono un imperatore – ride – ma faccio il tifo per i giornalisti Rai”
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