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Roberto Perrone per il “Corriere della Sera”
«Se questi muri sapessero parlare / Anche le strade potrebbero arrossire» (Francesco Baccini). Che sapore ha questo assalto al potere del pallone dalle fangose rive del Bisagno, dalla Foce dove come sempre «franze o ma», da via del Campo lastricata dei versi di Fabrizio De Andrè, dal molo dove si demolisce la Costa Concordia? L’anomala domenica in cui Genoa &Sampdoria sfidano Roma e Juventus se non da pari siamo lì, fa una certa impressione. Già all’inizio degli anni 90, ai tempi del precedente boom calcistico, il pallone rotolava più in fretta della città. Adesso non c’entra nulla.
«Tu sei bella, ma da ricordare» così Francesco Baccini, nel suo blues definisce Genova (red and blue, dal suo punto di vista). «Curiosa sta cosa, è una classifica dell’altro secolo, però guadagnata sul campo: il Genoa è una squadra molto più europea di altre. Ha molti giovani, un portiere ragazzino» dice il cantautore genovese che ha un nuovo album in preparazione per il 2015 e il 21 dicembre sarà ospite di Cristiano De Andrè al concerto davanti a Palazzo Ducale.
«Le grandi squadre sono abituate ai nomi. Forse per vendere le magliette. Poi le conseguenze le vedi sulla Nazionale». Genova nel calcio come tramontana inaspettata. «Anche la Sampdoria non ha grandi nomi. Ha fatto una compagna acquisti intelligente. Mihajlovic è un po’ come Gasperini. La geografia del calcio è cambiata, domenica il Milan sembrava di provincia». Controindicazioni: «Speriamo che non distruggano la squadra. Bisognerebbe abolire il mercato di gennaio».
«Se ci fosse Milito davanti potremmo giocarci lo scudetto» con l’understatement tipico dei genoani, Stefano Tettamanti, importante agente letterario e scrittore di gustosi libri con l’amica Laura Grandi (l’ultimo: Il cibo non era niente di speciale, Utet) racconta i due Genoa di Gasperini. «Questa è una squadra più equilibrata e continua rispetto a quella di Motta/Milito. Meno individualità, media più alta. E questo Perotti è meglio dell’altro». Memorie del Grifo anni 70, mediana Perotti-Bittolo-Maselli.
Genoa e Sampdoria in grande spolvero, ma Genova dov’è? «Leggo che la città è in ginocchio. Per me è defunta. Fino a vent’anni fa puntava al milione di abitanti, ora ne ha la metà, la banca principale è nella condizione in cui è, il quotidiano in grande crisi. Dopo decenni continua a interrogarsi su quale sia la propria natura. Il boom calcistico è paradossale, stiamo approfittando della mediocrità degli altri. Detto questo voglio lo scudetto della stella».
Genova è così, estrema. Nel 1990-92 la crisi non c’era e la Sampdoria era stata costruita per vincere da un presidente riservatissimo, Paolo Mantovani. «Appunto allora c’era il progetto» sostiene Enrico Buonaccorsi, già docente di storia del teatro all’Università di Genova, intellettuale versatile, curioso e blucerchiato. «Mantovani dragava il mercato alla ricerca dei migliori, non credo che Ferrero si aspettasse questi risultati, ma il calcio, come la vita, ti presenta delle sorprese. Allora la Samp era costruita per arrivare in alto, ora è turista per caso».
Nel 1991-92 il corso all’università di Buonaccorsi fu «Il calcio come spettacolo». Fece scalpore, ne scrissero all’estero, venne la tv. Roberto Mancini tenne una lezione. Buonaccorsi ha curato, con Claudio Bertieri, la mostra dedicata a Ivo Chiesa, storico direttore del Teatro Stabile, punto di riferimento di una Genova aperta al mondo. «La città dovrebbe fare delle scelte, ma è faticoso.
Si sono perse energie, ricchezze, occasioni. Penso a Renzo Piano che già ha cambiato la storia con l’intervento nel Porto Antico. Ora si c’è in ballo il nuovo skyline alla Foce, ma vedo resistenze. Una volta i genovesi andavano per mare, creavano porti e opportunità, ora sono lenti». Non nel calcio. Megio o poco che o ninte.
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