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GIU’ LE MANI DA DIEGO MARADONA – L’OPERAZIONE ALLA TESTA E’ ANDATA BENE MA INTORNO A LUI LITIGANO TUTTI. LO STAFF GESTISCE IL SUO TELEFONO E NE FILTRA PERSINO LE RELAZIONI FAMILIARI. LE FIGLIE E LO STORICO PREPARATORE SIGNORINI ACCUSANO: "LO STANNO SPREMENDO COME UN LIMONE FINO ALL’ULTIMA GOCCIA..."
Paolo Galassi per la Repubblica
L'operazione alla testa, nella notte fra lunedì e martedì, è andata bene. Almeno sembra. Per Diego Armando Maradona si prevede una degenza di una settimana e un periodo indefinito di riposo. Forse non era il caso di farlo sfilare in campo, il giorno del suo 60° compleanno. Forse, per la sua salute, non era nemmeno il caso di mettergli in mano una squadra, come se alla fine non fosse il suo vice Sebastián Méndez a dirigerla e metterla in campo. Difficile dirgli di no, certo.
Difficile anche rinunciare ai ghiotti contratti che lo accompagnano ovunque, inevitabilmente destinati a solleticare chi lo circonda. Finché dura, meglio essere nel posto giusto al momento giusto. Gli hanno mandato abbracci il presidente argentino Alberto Fernández e l'ex presidenta Cristina Kirchner, passata più o meno per lo stesso problema sei anni fa. Evo Morales, Nicolás Maduro e pure un figlio di Fidel Castro. Una carovana di devoti è partita da La Plata in direzione Buenos Aires, con l'idea di stazionare fuori dalla Clinica Olivos per il cosiddetto aguante , ennesimo termine che fuori dal Rio de la Plata è difficile spiegare.
Un po' come il culto del Diego e del dizionario Maradoniano, un'antologia di metafore con cui immortalare luci e ombre di un paese intero. El perfume del pasto, il profumo dell'erba, è l'immagine con cui negli ultimi tempi era solito spiegare la sua nostalgia per il campo da pallone. L'odore del cuoio, il sapore del fútbol. Se non giocato, almeno accarezzato a bordocampo, come un nonno che porta il nipote a veder passare i treni. Un Maradona acciaccato, portato in giro dal Diego fanciullo, immune al tempo e alle stagioni.
Dalla panchina dei Dorados di Sinaloa, in Messico, a quella del Gimnasia di La Plata, strategia di mercato costruita attorno a lui dai personaggi che ne gestiscono l'immagine, i telefoni, l'agenda e che ne filtrano persino le relazioni familiari. Almeno così pare, stando agli sfoghi di Dalma e Gianinna, figlie del suo primo e unico matrimonio (con Claudia Villafañe), capostipiti di un clan infinito, oggi sul piede di guerra con l'altro clan, quello dei «chupasangre».
I succhiasangue che badano solo a «spremere il limone fino all'ultima goccia», secondo l'espressione usata da Fernando Signorini, storico preparatore atletico di Diego tra Barcellona e Napoli.
Uno dei pochi a mettere in guardia il pibe Pelusa dall'idolo capace di inghiottirlo. Cupio Dissolvi, il motto latino sul'autodistruzione attribuito a San Paolo, che non a caso a Fuorigrotta ha il suo tempio pagano. «Scrivi un messaggio a Maradona, qualcuno lo legge per lui e ti blocca », ha detto lunedì il Negro Enrique, ex compagno di nazionale, abituato a scherzare sul presunto assist servito a Diego per il gol del secolo agli inglesi nell'86.
In pratica, l'ultimo a toccare la palla prima del miracolo. Lo stesso reclamo burlone di Eraldo Pecci sull'impossibile punizione segnata da Diego alla Juve, il 3 novembre del 1985. Lo stesso giorno in cui, 35 anni dopo, finirà sotto ai ferri. Oggi come allora, il nucleo dell'affaire Maradona si riassume con un concetto spesso associato a Johan Cruyff (parentesi: la sua prima volta con il leggendario numero 14 sarà un 30 ottobre del '70, giorno del compleanno di Diego, ma questa è un altra storia).
Da allenatore del Barça, il divino Johan parlò di entorno, per definire tutto ciò che circonda e influenza un calciatore o una squadra. Un parametro utilizzato per spiegare la Messi-novela di qualche tempo fa, e per giustificare l'ultima deriva di Diego. Ormai abituato ai fantasmi di certe notti buie, e spesso sporche.
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