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Vincenzo Trione per “la Lettura – Corriere della Sera”
I quadri da appendere alle pareti? Simulacri inattuali. Le sculture da sistemare in una galleria? Reperti archeologici. Da queste convinzioni muove Carsten Höller, tra le personalità più singolari dell' arte del nostro tempo.
Innanzitutto, per il suo background: laureatosi in scienze agronomiche, ha conseguito il PhD sull' olfatto degli insetti. Questo tipo di formazione lo ha portato ad accostarsi all' arte provando a saldare rigore scientifico e sensibilità poetica.
Con la curiosità di un entomologo, Höller pensa le sue installazioni come esercizi di empatia. Si tratta di oggetti plastici interattivi, che acquistano valore e senso quando entrano in sincronia con il pubblico.
Costruzioni fantascientifiche che attendono di essere attraversate, abitate. Momenti decisivi di quella che il critico Nicolas Bourriaud ha chiamato «estetica relazionale». Sistemi processuali, inclusivi, aperti, partecipativi che vogliono mettere in discussione la realtà oggettiva.
Dispositivi utili per studiare le nostre emozioni e le nostre sensazioni fisiologiche. Ecco le opere di Höller. Che ci coinvolgono. Ci avvolgono fisicamente, alimentando «comportamenti improduttivi».
Spesso giocose e irriverenti, possono sovvertire la nostra sensibilità individuale, determinando straniamenti e costringendoci a vivere esperienze minime ma irripetibili.
Inoltre, possono indurre in chi le incontra - pur se in maniera temporanea - stati di eccitazione inattesi, attimi di confusione o addirittura di allucinazione: spaesamenti psicologici e percettivi, modificazioni spazio-temporali.
Alcuni esempi. Sliding Doors (2003): porte automatiche a specchi scorrevoli che disegnano un corridoio all' interno del quale la figura umana subisce alterazioni e perdite d' identità.
E soprattutto il ciclo degli scivoli, che favoriscono, come ha detto lo stesso artista, la «perdita dell' orientamento all' interno di una direzione prestabilita».
Veicoli bizzarri e avveniristici che, nel far «provare uno stato emotivo unico, tra la contentezza e la follia», conducono «le persone alle loro destinazioni velocemente, in sicurezza e con eleganza».
Nel 1998, alla Biennale di Berlino, l' artista belga presenta due scivoli giganteschi, il secondo dei quali perfora la facciata esterna del KW Institute, consentendo ai visitatori di muoversi velocemente da un piano all' altro dell' edificio.
A quell' intervento, nel 2006, segue Test Suite: cinque gigantesche sculture tubolari in alluminio e plexiglass ordinate all' interno della Turbine Hall della Tate Modern di Londra, come serpenti aggrovigliati o come insoliti mezzi di trasporto utilizzabili.
Infine, The Florence Experiment, il progetto site-specific nel Palazzo Strozzi di Firenze in una personale curata da Arturo Galansino (fino al 26 agosto).
In questa occasione, l' artista ha collaborato con il fondatore della neurobiologia vegetale, Stefano Mancuso, da anni impegnato nello studio dell' intelligenza e delle qualità affettive delle piante.
È nato così The Florence Experiment, che propone un dialogo consapevole tra l' uomo e gli organismi vegetali. La mostra si articola in due tempi. Due monumentali scivoli di metallo - che sembrano evocare la spirale del Dna - permettono ai visitatori una discesa di 20 metri di altezza dal loggiato del secondo piano al cortile.
Il pubblico è invitato a intraprendere questa avventura inedita portando con sé una pianta di fagiolo. Un team di scienziati, poi, ha il compito di analizzare le molecole emesse dalle piante durante la discesa.
La seconda parte della mostra presenta due sale cinematografiche: in una sono proiettate scene di film horror, nell' altra spezzoni di pellicole comiche.
La paura e il divertimento producono composti chimici volatili differenti che, attraverso due condotti di aspirazione, vengono trasportati sulla facciata di Palazzo Strozzi, influenzando infine la crescita di piante di glicine rampicanti disposte su strutture a forma di Y.
Esporre a Firenze è un' occasione per interrogarsi sul Rinascimento. In particolare, sull' attualità della lezione di uno dei padri dell' arte del Quattrocento.
Prodigioso nel coniugare investigazione scientifica e potenza immaginativa, Leonardo aveva inventato congegni avveniristici, irrealizzabili per le tecnologie della sua epoca. Lei sembra ispirarsi a quel modello.
«Ogni artista è un po' un uomo del Rinascimento. Deve possedere il gusto dell' apertura, della sperimentazione.
L' inclinazione a fare cose che non sono mai state fatte prima. Prefigurare scenari impossibili. Sviluppare idee visionarie: non importa se attuabili. Per me, il Rinascimento è un riferimento necessario. Ma lontano».
Presentando i suoi scivoli a Palazzo Strozzi è come se avesse voluto imprimere un moto all' interno di un' architettura lineare: ha fatto entrare una specie di geometria del curvo, di sapore barocco, in uno dei capolavori del Rinascimento.
«Palazzo Strozzi è un edificio quadrato con un cortile vuoto. È come una grande cornice, che ho occupato con la mia scultura. Due scivoli che, nell' intrecciarsi, aggiungono un tocco di fluidità a un' architettura squadrata».
Quanto conta, per lei, il contesto dove allestisce le sue opere?
«Molto. Ma l' arte contemporanea ha una lingua a sé. Possiede una sua storia; ha una sua identità. E persegue la strategia della non-linearità».
Ha ricercato il dialogo o il contrasto con Palazzo Strozzi?
«Considero gli spazi non come set ma come ambienti di sperimentazione, dove esplorare diverse forme di vita umana, sociale, animale.
Non realizzo semplici oggetti d' arte. Le mie installazioni inglobano lo spettatore. Per questo, spesso, hanno una dimensione imponente: devono poter contenere il corpo umano».
Lei sembra sentirsi più a suo agio quando interviene in siti storici che quando espone nei musei d' arte contemporanea.
«Viviamo in un' epoca in cui i musei vengono progettati come se fossero sculture da archistar: non troppo diversi dalle sculture monumentali di Oldenburg.
Talvolta, appaiono persino disfunzionali, perché non assolvono alla loro funzione: presentare al meglio le opere d' arte.
Quando espone le proprie installazioni in luoghi come il Guggenheim, l' artista si sente come Pinocchio nel ventre della balena. In un futuro non troppo lontano, vorrei che gli artisti immaginassero altri musei».
E gli architetti?
«Non dovrebbero più progettare musei. Ricomincino a pensare nuovi ponti, nuove autostrade. Ritornino sulla retta via. Ora stanno andando in una direzione sbagliata».
Chi sceglie di salire sui suoi scivoli vive (anche) un' esperienza ludica, come accade quando si attraversano le sue opere.
«Non credo che ci sia ironia nel mio lavoro. L' ironia di The Florence Experiment risiede forse nella sua duplice natura: è un esperimento scientifico ed è anche una mostra d' arte».
Esistono chiavi di accesso privilegiate per decifrare le sue invenzioni artistico-scientifiche?
«Mi piacciono le opere che hanno una certa stratificazione e lasciano socchiuse tante porte di accesso.
Le mie installazioni possono essere interpretate in modi molto differenti a seconda di chi le analizza. Inoltre, interagiscono in modo sempre diverso con i luoghi dove sono collocate e con le persone che le percorrono».
dado gigante di carsten holler
I suoi «vehicles» sembrano mimare il segno del Dna.
«The Florence Experiment ricorda anche il Dna, ma è solo un' allusione. Intrecciando due scivoli, ho voluto rimandare a una suggestione romantica.
Una possibile congiunzione: puoi scivolare giù per qualche secondo, magari osservando qualcuno che, nell' altro scivolo, fa la stessa cosa».
Che ruolo attribuisce agli spettatori nella sua poetica?
«Pensi ancora agli scivoli. Sono una proposta per il trasporto di persone da una parte all' altra di un edificio o al di fuori di esso.
Non capisco come mai usiamo solo scale, scale mobili e ascensori per muoverci e non gli scivoli. Perché si crede che siano solo per i bambini? Che errore».
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