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Stefano Bucci per “la Lettura - Corriere della Sera”
«La vera opera d'arte contemporanea può mantenere intatta nei millenni la sua contemporaneità che però non è mai legata a un periodo preciso. Dunque, l'arte contemporanea è contemporanea sempre».
HO FAME - il grande tappeto (3 metri per 5) protagonista della monografica che Palazzo Collicola a Spoleto dedica a Paolo Canevari (Roma, 1963) - racconta anche di questa eterna contemporaneità: un progetto nato alla fine degli anni novanta, una lunga gestazione, una serie di ripensamenti, la realizzazione solo pochi giorni prima dell'inaugurazione di una mostra
(Materia oscura , a cura di Marco Tonelli e Lorenzo Fiorucci, fino al 31 ottobre) giocata nel contrasto tra opere forti nel loro significato (le libertà, le guerre, l'ambiente) e nella loro forma (una buona parte realizzata con copertoni e gomma di camera d'aria) e lo sfarzo dell'appartamento settecentesco della nobile famiglia Collicola, ricco di dipinti antichi, cornici dorate, affreschi, marmi pregiati.
Ma quel tappeto ispirato ai cartelli esposti dai mendicanti (e realizzato con ARTinD di Oliva Sartogo) è anche la conferma «di come l'arte contemporanea - spiega ancora Canevari - possa avere un proprio ruolo nella storia, però solo se può dirci qualcosa di profondo sui tempi che viviamo».
Il tappeto, con il suo messaggio perentorio tessuto in blu su fondo bianco, appare come imprigionato tra i (tre) grandi missili di J.M.B. / Jesus Mohammed Buddha («i nomi dei grandi profeti per connettere religione e guerra in maniera esplicita, ma anche per annunciare una possibile, nuova esplosione di spiritualità») e una grande consolle barocca che ricorda il glorioso passato di un palazzo patrizio che oggi ospita, all'interno del museo, la collezione d'arte contemporanea che il critico Giovanni Carandente (1920-2009) aveva donato alla città di Spoleto ricca di opere di Leoncillo, Pascali, Calder (una vera sorpresa), Beverly Pepper.
Tutto è nato, attorno al 1998, dai cartelli di medicanti e homeless che Canevari aveva iniziato a comprare: «Mi ero accorto di questo fenomeno, potrei dire "calligrafico", con cui una quantità sempre maggiore di mendicanti chiedeva l'elemosina scrivendo appunto "Ho fame", messaggi lanciati in una lingua spezzettata perché non era la loro».
Chi erano? «In massima parte si trattava di uomini che venivano da una storia di migrazione, persone senza casa che si appoggiavano alla Caritas o ad altre opere di assistenza per sopravvivere. Spessissimo erano Rom, venivano dall'ex-Jugoslavia, erano scampati dalla guerra del Kosovo, ma c'erano anche i primi migranti che venivano dal Nord Africa e anche qualche italiano, come quello che incontravo regolarmente a Roma, un grafomane molto educato, che girava la città con un cane cercando un lavoro e che riempiva pagine e pagine di parole».
Non eravamo ancora nella drammatica situazione di oggi: «No, ma gli artisti devono essere capaci di anticipare i tempi attraverso la loro sensibilità, di capire prima degli altri i rivolgimenti sociali e i cambiamenti che avvengono, scavallando la storia, superando il tempo contingente».
E lo spazio: «Ho raccolto questi cartelli in diversi luoghi, era un periodo in cui viaggiavo moltissimo, per lavoro e per motivi personali: Roma, Milano, Parigi, Londra, New York. Così questi cartelli sono scritti in italiano ma anche in inglese e francese, lingue comunque sempre minimali».
Come ha raccolto quei cartelli? «Facevo un'offerta, una contrattazione per comprare qualcosa che era loro e che loro avevano prodotto. L'offerta oscillava tra 50 e 100 mila lire, non c'era ancora l'euro. Per me era un modo per aiutare queste persone in maniera diretta, anziché fare la solita elemosina fine a sé stessa, quella che facciamo per toglierci il pensiero, per essere tranquilli durante la giornata. Preferivo dare una cifra molto superiore a quella che si aspettavano e creare, attraverso quella contrattazione, un contatto più diretto».
Una trentina («più o meno») sono quelli oggi rimasti nell'archivio di Paolo Canevari nell'attesa di trovare la giusta dimensione del progetto. «Per un po' li ho tenuti in archivio, firmandoli io con le poche parole che mi raccontavano, parole frammentate, minime, che però costituivano il segno tangibile di un rapporto vero, per quando ridottissimo, che si era instaurato».
Un materiale molto sensibile, molto difficile da gestire, rimasto a lungo in sospeso mentre i primi finivano in un cassetto». Nel 2002 Canevari ha, ad esempio, scritto a chiare lettere «HO FAME» sul vetro anteriore di una Rolls-Royce d'epoca, un'opera curata da Sergio Risaliti, da poco riproposta dal Museo del 900 di Firenze di cui Risaliti è direttore.
Perché proprio un tappeto? «Volevo dare ai piccoli cartelli dei mendicanti una dimensione amplificata; fare una gigantografia mi pareva un'azione troppo diretta. Ho pensato al tappeto perché ci cammini sopra, calpestando fisicamente la richiesta di aiuto di qualcuno. Con il tappeto ho fornito un grimaldello che può aprire nuove strade del pensiero. Normalmente si scrive sugli zerbini fuori delle case una parola o una frase di benvenuto, lo facevano già gli antichi Romani nelle case di Pompei, un invito a entrare. Ma quello zerbino che un tempo rappresentava la soglia di un posto che ti accoglieva, oggi è lo zerbino sopra cui ci allontaniamo da quello che c'è fuori». Mendicanti e homeless compresi.
La mostra di Spoleto è un invito a riscoprire la Materia oscura dell'animo umano («Il mistero al quale nessuno può dare risposta ma che l'arte può trasformare in qualcosa di positivo»). La stessa Materia oscura che fa regolarmente «vandalizzare da ignoti» un'altra opera della mostra, la Libertà atterrata della serie Monumenti della memoria (2010-2020) all'esterno di Palazzo Collicola.
L'universo delle opere esposte (il Colosseo, la Kaaba, la Colonna, i carrarmati, il globo terrestre, le torte di compleanno, il mantello di camere d'aria e quella Mamma che ricorda la nascita dell'artista avvenuta in un ascensore) vuole suscitare inquietudini: «Normalmente non uso la scrittura perché penso che la scrittura sia un limite, ma quando si tratta di una scrittura elementare, come quella dei cartelli dei mendicanti, può diventare un elemento di comunicazione molto forte».
D'altra parte Canevari ne è convinto: «L'arte da un punto di vista pratico non serve a niente, serve solo se diventa strumento di progresso, di evoluzione mentale. Con la mia arte cerco di aprire porte alla gente, di aiutarla a pensare». Quel grande tappeto serve a questo.
ho fame canevariPaolo Canevari e Roberto DAgostino rid serata al blackout foto dino ignani statua della libertà canevari vandalizzata
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