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EMANUELE BONINI per la Stampa
Sfruttamento, schiavitù, mito della razza, e circa 10 milioni di vittime tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Qualcosa di cui non andare fieri, e che invece il Belgio ha sempre messo in bella mostra, con tanto di teche e persino «zoo umani» per far meglio conoscere usi e costumi dei popoli «da civilizzare».
Il Museo reale dell’Africa centrale (Mrac), l’ultimo museo coloniale al mondo, non scompare, anzi torna più moderno di prima. Riapre a dicembre, dopo cinque anni di lavori. L’obiettivo non è promozione della barbarie, ma fare i conti con un passato scomodo e mettere i belgi di fronte alla storia.
«Fino a poco tempo fa nella scuole belghe si insegnava che portavamo la civilizzazione», ricorda Guido Gryseels, direttore generale del museo. Solo nel 1998 la pubblicazione del libro «I fantasmi di re Leopoldo», il monarca che tanto volle la presenza belga in Africa (tanto da legare il suo nome a quella nota oggi come Kinshasa ma fino al 1960 più nota come Leopoldville) si iniziò un nuovo capitolo nella narrazione storica.
Dopo un rinnovamento costato 75 milioni di euro e il raddoppio dell’area espositiva, il nuovo Mrac si pone l’obiettivo di porre di fare del museo del colonialismo non più motivo di vanto ma di riflessione e presa di coscienza.
Senso di superiorità
«Per 100 anni siamo stati un’istituzione coloniale», ricorda il direttore del museo. «Abbiamo la responsabilità di aver coltivato un attitudine secondo cui molti belgi si sentono superiori ai neri». Adesso tutto questo intende cambiare, ma «ci vorrà un po’». A dicembre, quando riapriranno i battenti, è previsto un discorso del ministro degli Esteri, Didier Reynders, volto a ripercorrere il passato coloniale del Paese. In modo meno entusiastico.
Il Museo reale dell’Africa centrale aprì i battenti nel 1897 per volere del re Leopoldo II. Si chiamava inizialmente museo del Congo, colonia belga fino al 1959. L’anno precedente all’indipendenza, nel 1958, la madrepatria dovette ospitare l’Expo che giustificò la realizzazione dell’Atomium divenuto poi uno dei simboli di Bruxelles. Ai piedi della struttura per l’occasione tutto il mondo potè vedere una riproduzione delle condizioni di vita dei congolesi, con persone vere. Persone lasciate in un recinto, come bestie, in fedeli riproduzioni delle loro case.
La pagina buia
L’esposizione universale del Belgio fu la prima organizzata dopo la seconda guerra mondiale. Un appuntamento che doveva servire simbolicamente a scrollarsi di dosso pagine buie di storia. I belgi avevano altro in programma.
Fu quello l’ultimo caso di uno zoo umano. Fino a pochi anni considerato quasi normale, anche a causa di una volontà di non affrontare il tema del passato coloniale. Adesso, dopo cinque anni, la bottega degli errori e degli orrori tornerà a mettere le coscienze di fronte alle scomode eredità coloniali.
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