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Pietro Del Re per La Repubblica
Come una volta succedeva anche da noi, in molti Paesi africani ci sono commercianti che ancora si rivolgono a chi con pennello e vernice è capace di riprodurre sulle facciate esterne del negozio un oggetto o una marca da reclamizzare. Alcuni pittori della pubblicità, i meno esperti, realizzano immagini di gusto naif; altri, invece, saponette, polli arrosto o spinterogeni con incredibile realismo.
Uno di questi vive e lavora a Mogadiscio, capitale della sventurata Somalia perché in buona parte ancora nelle mani degli islamisti Shebab. Muawiye Hussein Sidow, che tutti in città chiamano Shik-Shik, è in grado di riprodurre detersivi o ventilatori così perfetti da sembrare quasi fotografati. L' altra particolarità dei suoi murales è lo sfondo su cui raffigura i prodotti in vendita: di un turchese intenso, lo stesso delle acque dell' Oceano Indiano che bagnano la città.
Shik-Shik porta avanti una tradizione di famiglia, perché prima di lui dipingevano spazzole, copertoni, rasoi e concentrato di pomodoro anche suo padre e suo nonno. E a Mogadiscio, siano essi barbieri, supermarket o negozi di tè, sono più di cento gli esercizi che hanno chiesto il suo contributo pittorico. «Ho ripreso l' attività di mio padre nel 1998 e da allora sono diventato così famoso da aver insegnato il mestiere a molti ragazzi», dice il pittore, il quale giura di non aver mai duplicato un murales e di avere un solo sogno nel cassetto, quello di andare a lavorare anche nel vicino Kenya.
Da una decina di anni, da quando cioè le forze dell' Unione africana e i cannoni etiopi hanno allontanato da Mogadiscio gli islamisti vicini ad Al Qaeda, e in città s' è cominciato a respirare una sia pur rarefatta atmosfera di stabilità, i somali della diaspora continuano a rimpatriare a frotte.
Ma gli shebab sconfitti hanno ripiegato a soli 45 chilometri da qui, e ancora oggi le ambasciate e le organizzazioni internazionali sono tutte trincerate nel quartier generale delle forze dell' Ua, dietro l' aeroporto internazionale, perché per il loro personale la città è troppo pericolosa. Non c' è mese, e volte settimana, che Mogadiscio non sia funestata da un attentato o da un omicidio eccellente. Per questo, tutti i politici somali si muovono soltanto scortati dalla propria soldataglia armata fino ai denti, che di solito segue o precede la locale auto blu a bordo di uno sgangherato pick-up.
Tanti sono gli edifici di cui è rimasta soltanto qualche pietra, o quelli ancora crivellati dalle pallottole di chissà quale conflitto che ha funestato il Paese dal 1991, ossia da quando il dittatore Siad Barre fu deposto da un colpo di Stato che lasciò il potere prima nelle mani dei signori della guerra, poi delle corti islamiche, finalmente allontanate dall' intervento internazionale.
Per vedere lo sfacelo di Mogadiscio basta percorrere ciò che resta della "corniche" italiana, dove sulle rovine dei palazzi liberty del colonialismo nostrano si ergono soltanto baracche, o recarsi a Shangaani, dove una volta sorgeva la più grande Cattedrale della Somalia, della quale sono rimaste in piedi soltanto le mura perimetrali su cui s' appoggia una vasta baraccopoli.
Di fronte alla chiesa distrutta c' è il solo edificio recentemente restaurato, l' ex Palazzo del Governatore italiano, oggi sede del governo somalo, anch' esso già bersagliato da un paio di attacchi terroristici. Purtroppo non basta l' arte di Shik-Shik, né la volontà di pace che pure si percepisce con forza. «Finché non troveremo i mezzi per pagare gli stipendi ai nostri poliziotti e ai nostri soldati non riusciremo a costruire uno Stato somalo», dice il pittore. Difficile dargli torto.
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