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1. CAPOLAVORO ROSSO
Daniele Pisoni per “Il Giornale”
Il prodigio della Ferrari e di Sebastian Vettel per entrare nella storia. Il tedesco vince in Ungheria il gran premio più bello della stagione finora e raggiunge un mito come Ayrton Senna per numero di vittorie, quarantuno. Un trionfo nel nome di Jules Bianchi ricordato prima, con un toccante minuto di silenzio, e dopo, con una dedica non scontata. “Merci Jules, questa vittoria è per te, avresti fatto parte di questa famiglia che è la Ferrari” grida Vettel per festeggiare la seconda vittoria dopo quella in Malesia, la prima in carriera in terra d'Ungheria dove nemmeno con la Red Bull aveva vinto.
Successo decisivo nel momento cruciale per la Rossa alle prese con una complicata rimonta tecnica sulla Mercedes. In un gran premio d'altri tempi per una volta non si è vista la differenza, merito anche di una partenza capolavoro di Vettel. Il tedesco ha mandato in tilt Lewis Hamilton con un sorpasso da urlo alla prima curva, dove non ci sarebbe stato lo spazio nemmeno per uno spaghetto.
Non a caso. I famosi spaghetti di Lauda, quelli “dell'unica cosa che sanno fare a Maranello”, quelli che nel post gara il team principal Maurizio Arrivabene manda di traverso al vecchio Niki: «Altro che spaghetti… ieri (sabato, ndr) avevo chiesto una pizza all'arrabbiata». E al via sono addirittura due le pizze che stordiscono la Mercedes, che sbaglia la partenza come a Silverstone, perché Raikkonen con una magia alla seconda curva si mette dietro anche lui le due frecce d'argento. Annichilite.
Un campione sfrutta le occasioni. Vettel l'ha colta al volo e alla fine i meriti della Ferrari sono superiori ai demeriti e agli errori della Mercedes. In una gara in cui è successo di tutto: da Massa che sbaglia a posizionare la sua Williams in griglia al via e fa ripetere tutta la procedura a Hulkenberg che perde l'ala e va a schiantarsi con la Force India che aveva già cappottato Perez al venerdì. Brividi e safety car che riapre la corsa e regala sorprese come il primo podio di un pilota russo, Kvyat, secondo davanti al compagno Ricciardo per la doppietta di una rediviva Red Bull. L'Ungheria racconta anche il meraviglioso quarto posto del diciassettenne Max Verstappen e la miglior gara di Alonso, quinto, dal ritorno in McLaren.
Avrebbe meritato il secondo posto un bravissimo Raikkonen, da conferma per il 2016, per una doppietta rossa. Il prodigio sarebbe stato perfetto, ma va bene così se anche Kimi di fronte al tradimento del motore ibrido abbozza un sorriso: «La cosa migliore è che si va in ferie». Arrivabene rialza la testa alla Ferrari che centra già a metà stagione l'obiettivo dichiarato di due successi: «Due vittorie e otto podi, i conti li lascio agli altri che non li sanno fare…
E quando potremo scegliere le gomme sarà dura per tutti». I conti tornano sicuramente a un fenomenale Vettel, in linea teorica in corsa per il titolo a 42 lunghezze da Hamilton, alle prese con uno sport «fantastico e crudele che ti regala in una settimana dura, emozioni profondamente opposte». La morte di Jules e il secondo trionfo rosso, in qualche modo ispirato proprio da Bianchi perché Seb rivela «abbiamo guidato come avrebbe fatto lui che era un lottatore». Quindi Vettel che sul podio si commuove anche «per una giornata incredibile».
Una festa che è andata oltre a Ecclestone, al tentativo di oscurare in tv il trionfo rosso per presunti dissidi. Arrivabene detta la ricetta: «Umiltà, piedi per terra e avanti». Gli fa eco Sergio Marchionne: «Una vittoria per Jules. Tra poco ci fermiamo per la pausa estiva da cui, sono sicuro, torneremo ancora più agguerriti e determinati». Orgoglio Ferrari.
2. BIANCHI, BERNIE E LAUDA: TRE MOTIVI IN PIU’
Benny Casadei Lucchi per “il Giornale”
La Rossa ha vinto. In altri tempi, tempi lontani, sarebbe stata cosa importante che però finiva puntualmente dispersa e sottovalutata fra i tanti successi della gloriosa epoca schumacheriana. In altri tempi avremmo gioito il giusto, avremmo applaudito abbastanza, avremmo brindato un poco per poi metterci frettolosamente a far di conto per poter dire, sazi e abituati, che questa era la vittoria stagionale numero cinque o sei o sette della Ferrari di Schumi e Todt.
In altri tempi. Oggi no. Oggi che è solo la vittoria numero due di una stagione di lavori in corso, è però una vittoria che vale tante belle soddisfazioni. Perché arriva dopo i mesi di speranze disattese seguite al successo in Malesia; perché la Ferrari aveva preso a fare il gambero rosso; e perché ai tifosi delusi non potevano certo bastare il curriculum di Marchionne e il cognome del team principal: Arrivabene. Serviva di più.
E il di più è arrivato. Il trionfo di Budapest è stato sportivo e netto. Ma il di più di cui avevamo tutti bisogno è soprattutto arrivato perché per certe soddisfazioni impagabili bisogna saper cogliere l'attimo. E le truppe maranelliane ne hanno colti persino tre. Il primo: onorare come si deve la memoria del povero Jules Bianchi scomparso sabato scorso.
Il secondo: disinnescare in parte i propositi del boss del Circus Bernie Ecclestone che, forse per un dissapore con Arrivabene, pare avesse chiesto alla regia di inquadrare poco le Rosse (nel caso fosse tutto vero, c'è da domandarsi se questo sia il modo in cui la F1 intende combattere il calo di audience). Terzo: ricacciare in gola al presidente onorario Mercedes nonché ingrata ex icona ferrarista Niki Lauda quel «la Ferrari sa fare solo spaghetti...» pronunciato giusto un paio di settimane fa.
Sì, in altri tempi sarebbe stata solo una vittoria. Oggi è una gran vittoria.
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