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ruffini volfanfo de biasi e la squadra
Una storia da raccontare e da guardare. Francesco Totti in persona invita al cinema per conoscere da vicino i protagonisti. Una storia in cui un campo da calcio a 5 si trasforma nello strumento, potentissimo, per abbattere le barriere. Alla Festa del Cinema di Roma è arrivato "Crazy for football", il docufilm diretto da Volfango De Biasi che narra l’avventura di un gruppo di ragazzi di diversi dipartimenti di salute mentale italiani chiamati a vestire la maglia azzurra nel Mondiale per pazienti psichiatrici dello scorso febbraio in Giappone.
2. LA NAZIONALE CORAGGIO DEI MATTI PER IL CALCIO
Alessandra Retico per “la Repubblica”
Eccoli in campo, quelli finiti in fuorigioco. Il pallone tra i piedi e nessuna differenza: matti per il calcio. Come tanti, come tutti. E Karim, che biascica un po’ sotto il berretto di lana calato sugli occhi, lo spiega bene: «La follia non esiste, la follia è il calcio».
Benvenuti in Crazy for football, docufilm presentato alla Festa del Cinema di Roma e nelle sale a febbraio che ha Francesco Totti tra i promotori. Racconta la pazza idea della prima nazionale italiana di pazienti psichiatrici che è andata a giocare a febbraio scorso il mondiale di calcio a cinque in Giappone (nel 2018 si disputerà in Italia con otto nazioni). Torneo e squadra veri, quant’è vera l’altra partita accanto: la sofferenza psichica presa a calci.
paolo ruffini volfango de biasi e 2 membri della squadra
«Non è una storia di matti ma di calcio, di sport e non di malattia. Un film politico nel senso della polis: la follia ci riguarda non solo narrativamente, ma socialmente », spiega Volfango De Biasi, classe 1972, regista noto al grande pubblico per i “cinepanettoni”. «Non disdico il botteghino e nei miei “Natali” con Lillo & Greg ho tolto tette e culi dal genere e messo dentro straniamento, commedia dell’arte e leggerezza. Gli stessi che ho usato con i “matti”. È tempo che la politica tolga lo stigma su coloro che soffrono di disturbi mentali e che le istituzioni si attrezzino. Lo sport come terapia ha dimostrato che funziona, e il calcio in particolare».
paolo ruffini volfango de biasi aurelio de laurentis e carolina terzi
Si dribbla anche così, il dolore. Con gli scarpini, tornando in campo quando la vita ti ha cacciato fuori. Lo racconta nel film Sandro detto Sandrone, ex poliziotto di scorta anche a Cossiga: «Sono stato in polizia dall’82 all’88, poi ho avuto i germi dell’esaurimento. Mi sono isolato. Dopo due anni di incubazione sono arrivato proprio all’esaurimento. Sono stato ricoverato perché sentivo le voci. Sdoppiavo la realtà. Forse ho tirato fuori le mie debolezze.
volfango de biasi e enrico zanchini allenatore
Il calcio? È stato importante all’ottanta per cento: mi ha aiutato ad avere una disciplina, a mettermi in relazione con gli altri. E combattere anche i fantasmi sul campo, le paure, le debolezze. La follia, come dice Vasco Rossi, è tutta un equilibrio. Oppure, secondo Erasmo da Rotterdam: è il sale della vita. I più grandi pensatori sono stati tutti folli, ci sono premi Nobel che erano schizofrenici, ora non ricordo i nomi». Ma il nome di questa cosa che rotola sull’erba, lo conoscono tutti.
Di certo Santo Rullo, «psichiatra di strada» come si definisce il presidente della Società italiana di psichiatria sociale e responsabile della comunità terapeutica da 45 residenti di Villa Letizia a Roma, a un passo da Villa Pamphili. Lavora da 25 anni con persone affette da disagi psichiatrici, usando lo sport più e meglio degli psicofarmaci. In Italia sono circa 40 le squadre di pazienti adesso, l’esperienza di Rullo è stata esportata anche all’estero, in Giappone si contano 600 team finanziati dalla locale Serie A.
«Quando si ammala, il paziente psichiatrico perde il diritto alle cose più banali. L’obiettivo è staccare sempre di più l’intervento clinico da aspetti ospedalieri e favorire il rientro in gioco di chi è finito fuorigioco. Il calcio ha il potere di riallacciare i fili spezzati: con il movimento, anziché verbalmente. Ci sono regole, ruoli, disciplina, scambio sociale».
Non pensi a te sofferente, ma “senti” il gol che vuoi fare. De Biasi (con Francesco Trento) girò nel 2004 con zero mezzi e tanta follia Matti per il calcio sulla polisportiva “Il Gabbiano” nata nel 1993 al dipartimento di salute mentale della Asl Roma A, diventato lezione obbligatoria per le terapie riabilitative in mezzo mondo. Crazy for football(prodotto da Skydancers con Rai Cinema e il patrocinio della Figc) di quel «discorso amoroso» come lo chiama De Biasi, è figlio.
Nel gennaio scorso ai provini per entrare in nazionale si sono presentati a decine, dai dipartimenti di salute mentale di tutta Italia. Santo Rullo direttore sportivo, Enrico Zanchini ex giocatore di calcio a 5 come allenatore e l’ex campione del mondo di pugilato Vincenzo Cantatore il tostissimo preparatore atletico. I 12 selezionati in ritiro a Roma per una settimana. Sì, roba da matti per ragazzi con storie di isolamento. 170 ore di girato, tre macchine a riprendere la fatica, i cazziatoni, le debolezze e le facce bellissime dei calciatori, imperdibili quando ricevono la divisa azzurra. De Biasi: «La maglia è un luogo mitico. Ti identifica come appartenente a una squadra. In quella scena del paziente non c’è traccia, sparisce. C’è il bambino e il suo sogno».
Ruben, triestino, 21 anni, capitano della nazionale, ha sofferto di depressione dopo che il papà bidello è rimasto paralizzato per un angioma esploso nella spina dorsale: «Avevo 12 anni e fino ai 17 sono rimasto chiuso nella mia stanza. Con papà giocavo a calcio, ho ritrovato la voglia di giocare con l’aiuto e il pallone. La nazionale ci ha costretto a stare lontani da casa e insieme: la fatica ci ha uniti. Lo sport non ti fa pensare ai problemi». Quasi non ti mancano le sigarette anche se l’aereo non l’hai mai preso e per il Giappone si vola per 14 ore. Sandrone sbarca e sul treno a Tokyo guarda fuori: «Un ordine e una precisione stupefacenti ». Questa sì, roba da matti.
i produttori mauro luchetti e carolina terzi con volfango de biasi
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