DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Francesco Persili per Dagospia
“Francesco, perché il mister ti ha sostituito al trentesimo del secondo tempo?”; “Vedi Rogge, er calcio è diverso dal tennis. Qui “i coach so’ de coccio”. (Pare che l’espressione sia entrata nel vocabolario di Federer). L’aneddoto sull’incontro tra King Roger e Totti negli spogliatoi dell’Olimpico è solo una delle tante perle del nuovo libro di Adriano Panatta, “Il tennis l’ha inventato il diavolo”, scritto con Daniele Azzolini per i tipi di Sperling&Kupfer.
Avventure, colpi da manuale, partite epiche e mattane assortite. C’è Ion Tiriac, genio multiforme che fa strage di cuori fra le gran dame dell’alta società romana e si mangia un bicchiere per scommessa e Ezio “Pancho” Di Matteo che al Cairo lancia le scarpe al muezzin: “Fu lui il primo diavolo tennista nel quale mi sono imbattuto”, scrive Adriano Panatta che tra Djokovic, Nadal, Federer e Berrettini non manca di squadernare fatti e fattacci di quel grande “romanzo popolare” che sono gli Internazionali di Roma.
“Dal 1950, l’anno della ripresa, fino a tutti gli anni Novanta, con il Villaggio creato da Cino Marchese, il torneo visse tra pragmatismo e affabulazione…”. Gustosissime le righe dedicate a Betty Ann, una bionda californiana da urlo, che alle appassionate attenzioni del pubblico rispose facendosi ricamare in rosso sulle mutandine di pizzo un enorme “Watch it”, che esplodeva colorato e irridente ogni volta che il vestitino tendeva a salire.
Prima di Federer in fissa con la cacio e pepe c’era Beppe Merlo che al cambio di campo sorseggiava del tè e lo voleva sempre ben caldo. L’ordinazione al bar si faceva tramite altoparlante (“Un tè caldo sul Centrale, grazie”. Pausa. “Zucchero a parte, grazie”. Pausa. “Ah sì, due fettine di limone”. Pausa. “Ben lavato, grazie”). Più che il Babingtons di Piazza di Spagna, il Foro è sempre stato dipinto da certa pubblicistica antipatizzante come “la fossa dei leoni”.
A questa vulgata molto hanno contribuito le monetine lanciate a Borg e "la cagnara" nella semifinale del 1978 tra Panatta e Higueras con l’arbitro Bertie Bowron che giunse ad esclamare in italiano: “Zitti cretini”. Un capitolo a parte meritano i giudici di linea, alcuni così vecchi che si addormentavano durante l’incontro. Questo piaceva molto a McEnroe che ghignava con il giudice di sedia: “Shh, dica piano il punteggio, se no li sveglia”. Anche se la battuta migliore resta quella di Roddick: “Continuate gli studi ragazzi, o potreste finire per diventare un giudice di sedia”.
Sliding doors. Per James Blake, nel 2004, Roma ha rappresentato l’inizio della fine. Prima di quel maledetto incidente sui campi del circolo Parioli, era il tennista più in vista tra le nuove leve e quello più modaiolo (la canotta di Nadal era nata per lui). Poi tutto cambiò. In allenamento Blake inciampò e centrò un palo della rete. Rottura dell’osso del collo e rischio di paralisi. Visse un anno dentro un’armatura di gesso, la morte del padre gli dette il colpo di grazia. Diventò completamente calvo. Gli sgambetti della sorte lo allontanarono dalle passerelle e stando alle ultime disavventure con la polizia e con il villone di Tampa pare che non l'abbiano ancora abbandonato. Chiosa Panatta: “La sfiga, come dicono a Roma, arriva in carrozza e se ne va in ciabatte…”
C’è uno strano legame tra la legge di Murphy e il tennis, l’unico sport, diceva Goran Ivanisevic, che obbliga a giocare contro 5 avversari: “il giudice di sedia, il pubblico, i raccattapalle, il campo e se stessi”. E l’avversario quello vero? Anche, ma lui è il meno”. “A volte capita di chiedersi chi sia davvero il diavolo”, Panatta ricorda la vittoria contro Gerulaitis al primo turno degli Internazionali del 1978. Ero imbambolato, un tifoso urlò dalle tribune: “Adrià, so’ venuto da lontano pe’ vedette. Sei proprio er peggio de tutti”.
"Aveva ragione lui, fu quella voce a darmi slancio. Vinsi la partita, poi cercai con gli occhi quel tifoso. Lo vidi che si asciugava le lacrime. Sollevai un braccio verso di lui, come a dire: “La partita l’abbiamo vinta insieme”.
Il tennis è “stressante, logorante, abbrutente”. Ma neanche a farla così pesante. Gianni Ocleppo, interrogato da una baronessa sulla vita randagia dei tennisti, sfoderò la migliore risposta, di quelle che spazzano l’incrocio delle righe: “Una vita faticosa, la nostra. Tanto tennis e poco altro. In compenso ci viene duro, ma così duro che è una bellezza guardarlo…”
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