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Giulia Zonca per “la Stampa”
A metà aprile Leo Messi ha alzato il braccio e mostrato un nuovo tatuaggio: un reloj, ovvero il simbolo della crescita, un fiore di loto in mutamento. La mappa dei disegni che ha sul corpo non aiuta a scoprire il modo di fermarlo ma offre qualche indizio sulla sua evoluzione perché non solo controllare Messi è quasi impossibile, ma fermarlo adesso è ancora più complicato.
Stato di grazia
La scorsa stagione si è inceppato: ritmi alti, tanti gol, dribbling infiniti e un Mondiale incompiuto, epilogo di un anno passato a litigare con la finanza spagnola e a proteggere il padre manager accusato di truffa. L’idea del tatuaggio è arrivata dopo: chiuso il patteggiamento per le tasse e risolto il problema della gastrite. Messi ha voltato pagina e ritrovato leggerezza.
Oggi si libera degli avversari come faceva quando aveva nove anni, con la stessa semplicità, come se non ci fosse il calcio milionario intorno e come se non ci fossero trappole studiate apposta per lui. Solo opportunità.
Fermare un fenomeno in stato di grazia è un’operazione complicata. Allegri studia e Mourinho avverte che la preparazione è lunga e tormentata. Lo Special ha ingabbiato la pulce in un paio di partite. Di certo lo ha arginato nella semifinale di Champions che ha portato l’Inter a Madrid nel 2010.
Non svela segreti ma racconta lavagna tattiche già sfruttate: «Tutta la squadra deve muoversi per dargli fastidio. Bisogna analizzare i movimenti, occupare il campo, coinvolgere ogni giocatore e non ci sono garanzie. Però se tutto gira come deve si può arginarlo».
Questo schema costringe l’avversario a dimenticare il proprio gioco e dedicarsi in esclusiva a demolire quello altrui. Non solo, dà per scontato che fermato il genio il Barcellona si spenga. Che ingabbiato il procacciatore di palle magiche Neymar e Suarez non possano far male.
La via dura non funziona
Pep Guardiola ha tentato l’approccio opposto: «Messi non si può marcare, è troppo bravo», quindi si fa finta di niente, ci si concentra sulle proprie qualità, si prova a stare ordinati e la partita finisce 3-0 per il Barcellona. Questo almeno è il verdetto del Barcellona-Bayern che di fatto ha dato la qualificazione ai blaugrana.
Gattuso non avrebbe idea di come affrontarlo dalla panchina ma dal campo ha una prospettiva precisa: «Qualche piccolo calcio glielo darei», ma altri sconsigliano l’approccio brutale perché è difficile passare inosservati: alla seconda aggressione sei fuori e intimidirlo è inutile.
«Ha troppe soluzioni, pensa, o reagisce d’istinto, in modo rapidissimo e ti spiazza. Ti sfianca», parola di Ricardo Costa, ex difensore del Valencia, oggi al Paok Salonicco. A distanza di sicurezza ammette di aver tentato la via Gattuso. E di aver fallito.
Joachim Loew per contenerlo nella finale Mondiale ha usato la tecnica Mourinho, ma ha avuto vita più facile: con l’Argentina Messi non è ancora riuscito ad essere devastante come è ogni volta che indossa la maglia del Barcellona.
In più, dopo una prima parte di campionato passata a discutere sulla posizione in campo, Messi ha chiarito che gioca dove vuole. Per questo il rapporto con Luis Enrique è solido. L’allenatore si è concentrato sulla difesa che infatti incassa meno gol ma non dirige il fenomeno.
Non è marcabile, non è prevedibile, nemmeno il suo tecnico può dirgli dove stare. E lui sta sereno, felice del fiore di loto che lo fa sentire ancora più libero.
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