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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
1. BUFFON: LA MIA FOLLIA
Paolo Tomaselli per il Corriere della Sera
«Le racconto un aneddoto che le fa capire come vivo certe situazioni, con la pazzia che non mi abbandona mai: sabato vincevamo 2-1 con l' Udinese e a 15' dalla fine si avvicina Perica e mi dice: "Ti faccio gol"».
E lei, Gigi Buffon, che cosa gli ha risposto?
«Guarda che me lo stanno facendo tutti, se vuoi far notizia non segnare! E mentre lo dicevo, ridevo come uno scemo. E pensavo: meno male che sono così e mi aggrappo alla follia per uscire da certi momenti».
La reazione all' errore è la chiave dei grandi portieri?
«Sì. Ma dipende da quanti ne fai».
L' errore cos' è per lei?
«Qualcosa che mi provoca uno choc: non sono abituato, capita e faccio fatica ad accettarlo».
È molto autocritico?
«Moltissimo. Continuo a darmi scudisciate psicologiche e morali per tanti giorni: da me non accetto certi errori».
E le critiche la disturbano?
«A costo di essere masochista, mi piacciono. Mi stimolano. Se non le accettassi, dovrei smettere di lavorare. Mi stizzisco quando toccano certi argomenti: ho 22 anni di carriera alle spalle, penso di aver dimostrato qualcosa. E l' ultima stagione buona non l' ho fatta tre anni fa: sono stato protagonista dell' Europeo, dentro e fuori dal campo. Per cui stiamo un po' calmi».
La prestazione di Lione come la considera?
«Normale. Io gioco per dimostrare di essere diverso dagli altri: a 38 anni posso fare delle cose che gli altri non hanno mai fatto. Questa è la mia sfida».
La raccolta delle figurine dei calciatori la fa sempre?
«Le compro ai miei figli. Mi fa piacere tramandargli questa passione».
Hanno già indossato i guanti. O è «proibito»?
«A casa mia, di proibito non c' è nulla. I due bambini grandi sono ossessionati dal pallone e questo mi fa un po' di paura. Ma si divertono tanto. E non giocano in porta».
Le viene mai voglia di fare un gol come certi suoi colleghi?
«Con la Germania ai rigori, dopo Darmian sarebbe toccato a me tirare. In generale ci ho pensato, ma mi dispiacerebbe per l' altro portiere».
Pensa mai a cosa farà da grande?
«Sì, certo».
Nel calcio o fuori?
«Il calcio è il mio mondo da 32 anni. E ho avuto la fortuna di viverlo come un tarlo dal di dentro, ricavandone le mie verità».
Si vede in campo o dietro una scrivania?
«Il campo è la parte più bella, ti regala emozioni che danno senso alla vita. Un ruolo di allenatore con la sua quotidianità non mi piacerebbe. Un ruolo da c.t. invece non lo escluderei a priori: mi rimarrebbero le emozioni del campo, ma anche un po' di libertà per dedicarmi ad altre cose».
La vera anti Juve è la Juve?
«Qui c' è il gioco di non prendersi responsabilità, di dire che il favorito è l' altro, per il budget, il fatturato, eccetera: lo trovo ridicolo. Sulla carta la Juve è la più forte ed è un dato di fatto».
Lo conferma anche sul campo, le pare?
«Sul campo sta vincendo, che è una cosa diversa: secondo me la Juve deve migliorare, perché se abbiamo velleità europee non ci può bastare quello che stiamo facendo ed esprimendo in campo adesso».
Sabato affronta il milanista Bacca, un attaccante che ogni due tiri fa gol.
«È un rapace. E se i numeri dicono la verità, vuol dire che segna, perché l' anno scorso ha fatto un tiro e gliel' ho parato. Mi auguro che venga fermato prima, ma ha fiuto del gol, sa sempre dove va la palla».
Le milanesi «cinesi» che effetto le fanno?
«È la sconfitta del calcio italiano. Dell' Italia come Paese, delle tradizioni, di tutto: devi ritrovarti a ringraziarli e a dire grazie per essere venuti. Ma abbiamo ciò che meritiamo, siamo volubili, senza un senso di appartenenza radicato e la storia lo ha sempre dimostrato: chiediamo l' identità italiana, ma se l' italiano dopo 30 anni vive un momento di difficoltà con 5 anni da 10° posto, allora non lo accettiamo».
Il Milan dei giovani in campo le piace?
«Tanto. Ha un allenatore avanguardista, che ha personalità, dà serenità e ama osare.
Sembra il progetto della Juve di qualche anno fa. C' è solo bisogno di tempo e di esperienza per migliorare».
Donnarumma compie un anno di serie A. Come lo vede?
«Nonostante sia il triplo di me, Gigio è come se fosse un fratellino. È un ragazzo particolare, molto pacato: alla sua età io ero completamente diverso. È riflessivo, intelligente, ha delle qualità straordinarie. Ha tutto per fare la storia del ruolo. Bisogna solo aspettare 20 anni e tirare le somme».
Lei 20 anni fa disse a una giornalista russa che sarebbe potuto diventare migliore di Jascin, si ricorda?
«Certo. Diedi quella risposta perché allora come oggi sono nemico giurato del luogo comune e di chi ti vuol uccidere in grembo i sogni e non ti vuol far spiccare il volo. Visto che sono un amante indefesso della libertà, lo trovo inaccettabile. Da sbruffone le dissi: come fai a sapere già che farò una carriera peggiore di Jascin?».
Ha avuto ragione lei?
«I paragoni non mi interessano e le autocelebrazioni sono riti da sfigati. Sono contento di quello che ho fatto e sto facendo. Ma voglio di più. E so che lo passo dare e lo posso avere».
Tra una settimana c' è anche Juve-Napoli: che valore ha?
«Importante. Perché se tu, nel momento di difficoltà di una rivale riesci a vincere, dai una ulteriore botta alle sue velleità e sicurezze».
Anche prendere Pjanic e Higuain è stata una botta a Roma e Napoli?
«Non so se sia stato fatto con questo obiettivo. Ma sono stati presi giocatori per migliorarci e per sviluppare un calcio diverso, che non stiamo ancora esprimendo del tutto».
Cosa l' ha colpita di Higuain?
«La professionalità e la positività. Sfido chiunque a venire come attaccante più pagato e più forte e fare quattro panchine: eppure è un esempio dentro e fuori dal campo. Avevamo bisogno di gente così. Come anche Benatia o Dani Alves: la scelta dei nuovi è stata eccezionale».
È disposto a fare un voto per alzare la Champions?
«No, perché credo alla meritocrazia: se ce la meritiamo la vinceremo, altrimenti no».
Tommasi, presidente Aic, ha detto che gli azzurri sono contro Intralot come sponsor della Nazionale. Da capitano conferma?
«Ne abbiamo parlato. Se questa azienda porta soldi alla Figc eticamente non è bellissimo. Ma è da vent' anni che le pubblicità di scommesse sono ovunque: tutti giocano e tutti prendono le distanze. Mi fa ridere: se è legale, di cosa ti devi vergognare? Siamo degli ipocriti e dei bigotti. Leviamo le scommesse, allora. E basta».
Lei parla tanto e bene: vivere con una giornalista l' ha fatta crescere anche in questo?
«Secondo me ha fatto crescere lei (ride). Credo che Ilaria sia per me un punto di riferimento ormai imprescindibile. È stata una grande fortuna della mia vita, nonostante si sia dovuti passare da sofferenze inevitabili. È la persona che cercavo e quella che volevo. E spero di essere lo stesso per lei».
Il braccialetto in memoria di Piermario Morosini non lo toglie mai. Perché?
«Dicono che la morte sia uguale per tutti. Ma c' è modo e modo nella dignità con cui si muore. E la sua è stata la distruzione del luogo comune che i calciatori giocano solo per i soldi e per la fama. Mario ha lottato nonostante l' arresto cardiaco, ha cercato di rialzarsi. E lo ha fatto per la passione e per l' anima che ci metteva nel suo lavoro. È stato un riscatto per tutti i giocatori e una mazzata definitiva all' idea che il calciatore gioca solo per i soldi: tutti lavorano per guadagnare, ma ognuno ci mette l' animo e i sentimenti che ritiene migliori».
2. BUFFON, MIRACOLI ED ERRORI COME RESISTERE SULL’ALTALENA CON L’OMBRA DELL’ALTRO GIGI
Emanuele Gamba per la Repubblica
La buona notizia, buona anche per la stabilità del Paese intero, è che a Buffon è passata. Da storta la luna s’è rimessa dritta, facendo retrocedere la rabbia a una dimensione da bassa marea. Forse aveva solamente bisogno di sfogarsi un po’, o di una di quelle serate in cui sembra contemporaneamente Superman, Batman e una piovra. La notte ha portato via la cupa acidità che aveva ostentato alla fine di Lione-Juventus.
Difficilmente tornerà sull’argomento e mai farà i nomi di chi, a suo giudizio, avrebbe «spocchiosamente mancato di rispetto alla carriera e allo spessore di una persona». Ha chiuso la parentesi ridendo di se stesso assieme agli amici, accusandosi ironicamente di demenza senile per quelle parole sputate in diretta televisiva: per lui è finita qui, e forse è pure finito questo mese un po’ balordo, cominciato con un errore, rimasto sotto traccia, contro il Sassuolo, continuato con la paperissima contro la Spagna e chiuso con il tuffo goffo sul tiro di Jankto, sabato sera.
Tre sbagli in un mese: non gli capitava dal 2001, dai suoi primi passi juventini che vennero scanditi da errori giganti (Marazzina del Chievo e Batistuta della Roma presero e portarono a casa) e incertezze minime, che vennero subito attribuiti a quei cento miliardi di lire che in estate la Juve spese per comprarlo dal Parma e fare di lui il portiere più costoso di sempre.
Venne messo in dubbio. Parando, i dubbi li debellò. Più o meno come adesso, quindici anni dopo, anche se gli sbagli di oggi non sono tipici di un atleta a fine carriera, non sono dipesi da un riflesso appannato o da un muscolo non più abbastanza elastico. Li avrebbe potuto fare anche un ventenne, un trentenne: Gigi sa che non sono stati la spia di un declino.
GIGI BUFFON E ILARIA DAMICO IN BARCA
Resterebbe da capire con chi ce l’avesse. O a chi si riferisse Marotta quando, difendendolo, tirò in ballo «certi soloni». C’è una frase di Buffon che può rappresentare un indizio: «Ho sentito solo una cosa giusta tra le varie stupidate, che da me bisogna pretendere di più». È un commento che ha ascoltato alla Domenica Sportiva del 9 ottobre, dunque potrebbe essere stato (anche) quel programma ad averlo irritato. «Non penso proprio che nessuno di noi abbia mancato di rispetto a Gigi», è la replica di Marco Tardelli, opinionista della trasmissione di Rai 2.
«Per quanto mi riguarda, continua a essere il migliore e lo sarà ancora per un pezzo. A me lui piace, anche come persona: è diverso dagli altri, ha testa. Poi, capisco che le critiche diano fastidio e per esperienza personale so che feriscono più quando sei avanti nella carriera, perché ci spendi più tempo sopra. Tante cose, poi, le capisci solo una volta che hai smesso».
Quindi Buffon potrà approfondire la conoscenza non prima di un paio d’anni visto che continuerà, come minimo, fino al mondiale russo. «E magari farà come con Zoff, che nel ‘78 venne lapidato dalla critica: gli dissero che era cieco, che era finito, che doveva smettere. E quattro anni dopo diventò campione del mondo. Ma Dino delle critiche se ne fregava ».
Alla Ds, dieci giorni fa, si parlò molto di un’ipotetica staffetta tra Buffon e Donnarumma: del resto è la prima volta, in quest’ultimo decennio, che si manifesta un alternativa credibile, o perlomeno affidabile, a Gigi e ci può stare che lui non ami che l’affermazione del giovanissimo milanista venga messa in contrapposizione al suo tempo che passa.
In più, ha cominciato a circolare la voce che la Juve avrebbe individuato proprio in Donnarumma l’erede di Buffon, cominciando a programmare, con un biennio di anticipo, la successione del giocatore in assoluto più complicato da sostituire. Ma il rossonero (che, è bene ricordare, è in orbita Raiola) ha assicurato di non avere nessuna intenzione di muoversi dal Milan, tanto più adesso che si sta lentamente riavvicinando alla dimensione bianconera. Il vecchio e il bambino si ritroveranno dopodomani a San Siro: sarà interessante vedere che combineranno.
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