DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Antonio Riello per Dagospia
Il Mudec di Milano ospita una considerevole rassegna di opere (110) di Niki de Saint Phalle, curata da Lucia Pesapane. Chaterine-Marie-Agnès Fal de Saint Phalle (1930-2002), meglio nota appunto come Niki de Saint Phalle, è stata un'artista tormentata, compressa tra le esigenze borghesi della famiglia (non prive di ombre sinistre) e il desiderio di libertà anticonformista.
Caratterizzata da una personalità esuberante ha elaborato, nel corso degli anni, un proprio linguaggio decisamente riconoscibile. Molti probabilmente ricordano le sue splendenti ed enigmatiche installazioni nel "Giardino dei Tarocchi" di Garavicchio oppure la allegra Fontana Stravinsky vicino al Centro Pompidou di Parigi.
In realtà la sua ricerca ha saputo testimoniare con innata eleganza questioni importanti (e attualissime) legate alla condizione femminile nel campo delle Arti. E' stata, anche su un piano strettamente personale, molto sensibile a ai diritti delle persone più fragili (in anni in cui questo non era affatto quasi-obbligatorio per gli artisti).
La mostra è varia. Non mancano le opere di grandi dimensioni per cui è particolarmente nota (come "Les Trois Graces" o "Nana" del 1981): corpi femminili realizzati con ceramiche colorate e mosaici di specchi. Ma ci sono soprattutto opere medio/piccole (comunque altrettanto importanti). Disegni, maquette, bozzetti, collage, edizioni, installazioni in gesso e legno, progetti di arte applicata, testimonianze video.
Visibili sono anche alcuni esemplari della serie dei "Totem". La sua Arte fa evidentemente uso degli stilemi del Nouveau Réalisme - in voga negli anni in cui inizia a creare - ma li ri-elabora con un brillante taglio personale. Insomma l'artista franco-americana riesce particolarmente bene a coniugare urgenze etiche e soluzioni estetiche: evita accuratamente le tentazioni retoriche. Niente ripetitive liste di lamenti o facili slogan per trasformare le esigenze politico/concettuali in istanze poetiche.
E' possibile vedere, sempre al Mudec, una collezione di abiti di Dior che l'artista aveva usato nella sua iniziale attività di indossatrice. Ci si fa insomma un'idea delle tante sfaccettature di questo straordinario personaggio.
Il secondo marito di Niki de Saint Phalle, fin dal 1971, è stato Jean Tinguely (1925-1991). In perfetta sintonia temporale, Pirelli HangarBicocca esibisce a Milano una imponente rassegna dell'artista svizzero. La sua ultima grande esposizione italiana, "Una magia più forte della Morte", risaliva ai tempi della gestione FIAT di Palazzo Grassi (1987).
Pontus Hulten (amico e massimo esperto della sua opera) curò la gloriosa mostra veneziana. La personale milanese è invece opera del lavoro di Camille Morineau, Lucia Pesapane, Vicente Todolì e Fiammetta Griccioli.
Tinguely è il campione indiscusso dell'Arte Cinetica. Sostanzialmente è un artista-meccanico che costruisce improbabili, funzionanti e fascinosi marchingegni. Nelle fotografie appare sempre con tute da officina sporche di olio da motori. E forse la tradizione elvetica per orologi ed ingranaggi (che sicuramente ha respirato fin da piccolo) non è stata irrilevante. Fatto sta che tutte le sue macchine, dalle più semplici alle più complesse, hanno tutte un significativo fattore umanistico.
Il nodo non sta dunque nel meccanismo che si muove (seppure fantasmagorico e stupefacente) ma nell'interazione che esiste tra il congegno e la società. "Civiltà della Macchine" (era anche il nome di una celebre rivista fondata nel 1953) suona molto bene come parola-chiave per il suo lavoro.
L'ampiezza degli spazi della Bicocca non solo dà la possibilità, finalmente, di vedere le sue opere di maggiori dimensioni ma anche di ambientarle in un appropriato contesto di Archeologia Industriale. Lui probabilmente avrebbe apprezzato.
"Trycicle" (1954) e "Mèta-Herbn" (1955) sono tra le sue prime realizzazioni. Sculture-macchina ancora in qualche modo legate alle Avanguardie Storiche. Più mature "Cercle et carré-èclatès" (1981) e "Meta-Maxi" (1986): opere giganti e appaiono come delle catene di montaggio industriali in azione. Il suono/fracasso che fanno è una parte decisiva dell'esperienza. Con "Rotazaza n 2" (1967) Tinguely re-inventa un nastro trasportatore che non ha lo scopo di spostare delle bottiglie di vetro ma che invece, semplicemente, le rompe una ad una.
"Mèta-Matic n. 10" è invece una sorprendente macchina automatica per disegnare. Ma non quei plotter digitali che siamo abituati a vedere. Qui è tutto analogico (cinghie, ruote, catene, alberi a camme, motori elettrici, matite). La presenza degli spettatori è fondamentale perché sono loro che attivano la macchina e il processo meccanico-creativo.
Altre macchine (come "Gismo") sono fatte con prodotti di scarto e nascono come una denuncia del consumismo degli anni '60. Oggi, per ragioni diverse, rigenerazione e riciclo sono parole emblematiche del nostro tempo. L'inventore-artista qui è stato davvero profetico. Altra intuizione: alcune opere che Tinguely realizza sono fatte per autodistruggersi dopo un certo tempo di attività. Assistiamo inoltre alla combinazione di parti metalliche in movimento con elementi organici (bucrani, ossa animali e parti di alberi). Ecco l'idea del Cyborg.
La serie "Baluba" (1962/1963) tocca dinamiche di sfruttamento coloniale e di identità etnica. Africa, Congo e molto altro. Potrebbe essere stata fatta da un artista "impegnato" di adesso. Una giocosità diffusa e inarrestabile fa da minimo comun denominatore di tutte le sue opere. La temperie drammatica della fabbrica viene tramuta in una sorta di Luna Park (qualche volta quasi minaccioso).
Perfino i protagonisti della Filosofia non sfuggono all'ironia tagliente di Tinguely. Poi ci sono opere-in-movimento-immobili fatte di lampadine multicolori ("L'Odalisque" 1989, "Mackay Messer" 1991, "Mercedes" 1991, "Vive Marcel Duchamp" 1991). E installazioni dedicate appositamente ad una grande (e abbastanza prevedibile) passione dell'artista: le auto da corsa di Formula 1 ("Pit Stop" 1984, "Shuttlecock" 1990).
Antonio Riello - Tinguelizzazione
"Le Champignon magique" (1989) che chiude la mostra è stata fatta "a quattro mani" assieme a Niki de Saint Phalle. Nel loro caso è difficile capire chi ha influenzato chi. Sia di movimento che di colore ce ne sono in abbondanza. Erano una coppia bellissima.
Si chiude con i souvenir fotografici dell'eccezionale installazione, "La Vittoria", che Tinguely aveva pensato per Milano nella centralissima Piazza Duomo.
Una irripetibile performance anarco-ironica: una enorme scultura fallica capace di distruggersi eruttando fuochi di artificio sulle note della canzone "O Sole Mio". Sembra impossibile, ma accadde per davvero il 29 Novembre del 1970 di fronte al Duomo. Durò tre quarti d'ora.
Niki de Saint Phalle
MUDEC (Museo delle Culture)
Via Tortona 56, 20144 Milano
fino al 16 Febbraio 2025
Jean Tinguely
Pirelli HangarBicocca
Via Chiese 2, 20126 Milano
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fino al 2 Febbraio 2025
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