DAGOREPORT - UCRAINA, LA TRATTATIVA SEGRETA TRA PUTIN E TRUMP È GIA' INIZIATA (KIEV E UE NON SONO…
1 - GAME OVER
Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”
L’ultimo colpo di teatro come allenatore del Chelsea — se non consideriamo tale l’uscita dal centro sportivo con il cappuccio calato sul viso — è stato l’abbraccio a Claudio Ranieri, ovvero quel «settantenne che prima di dire good afternoon ci ha messo cinque anni».
Per ammettere il proprio fallimento e accordarsi col Chelsea sul pagamento del contratto fino a fine anno (coi restanti 6 milioni di euro) José Mourinho ci ha messo invece una decina di minuti: tecnicamente non è un esonero ma «una rescissione consensuale». In pratica è il primo vero flop del portoghese, che in 7 mesi è passato dal trionfo in Premier al quintultimo posto a un punto dalla zona retrocessione, con la miseria di 4 vittorie e 9 sconfitte.
L’ultima, lunedì sera con il Leicester di Ranieri, che è in testa al campionato con 20 punti di vantaggio sul Chelsea, è stato quella di troppo. Non tanto per il k.o. in sé (2-1) e non solo perché tutto il Leicester costa come il solo Diego Costa (25 milioni di sterline) ma soprattutto perché i Blues sono apparsi svuotati, troppo brutti per essere veri.
E le parole di Mourinho subito dopo il match hanno fatto capire ad Abramovich e ai suoi manager Tenenbaum e Buck che una decisione andava presa. Anche José infatti sembrava vuoto: «È una grande frustrazione perché mi sento come se il mio lavoro fosse stato tradito — aveva sottolineato il portoghese —. Quanto ai primi quattro posti, direi che per noi sono perduti».
Ci sono voluti comunque altri tre giorni e una riunione finale di 9 ore per decidere di separarsi dall’allenatore con la media punti a partita più alta della storia del calcio inglese (2,19 contro i 2,16 di Ferguson che comunque ha fatto quasi il quadruplo di partite) e il più vincente della storia del Chelsea, anche se la Champions a Stamford Bridge l’ha portata l’outsider Di Matteo. Fino a giugno, in 216 partite made in England, Mourinho ne aveva perse 19.
Le 9 sconfitte di quest’anno, oltre a quella di agosto nel Community Shield contro l’Arsenal dell’altro nemico storico Wenger, sono il sintomo di un malessere profondo, già deflagrato dopo il caso dell’allontanamento della dottoressa del club, Eva Carneiro, che secondo i media inglesi adesso verrà reintegrata. Anche il rapporto con lo spogliatoio era compromesso (il d.t. Emenalo parla di «palpabile discordia»), come dimostra l’attacco di José al belga Hazard, che contro il Leicester aveva deciso di uscire per infortunio «in dieci secondi».
«La realtà è che non ho mai perso così tante partite in tre mesi ed è strano — ha ammesso Mou qualche settimana fa — . Ma è una buona esperienza. Non mi piacciono quelli che si dimettono solo perché le cose vanno male. Devi essere forte e coraggioso abbastanza per credere in te stesso e andare avanti fino a che qualcuno non ti ferma». Quel qualcuno è arrivato. Ma questo addio tra amici non cancellerà mai né quel che Mourinho ha fatto in passato, né tanto meno la sua autostima.
L’anomalia per il portoghese non è questa stagione-no, ma il resto della sua carriera: «Quel che mi sta accadendo dopo 15 anni avrebbe dovuto succedermi prima. Ho conquistato 22 trofei. E solo in una stagione non ho vinto qualcosa di importante. È troppo, non è normale una carriera così. Ho il diritto di avere un’annata negativa. Ci sono allenatori che ne hanno una buona su 20. Alcuni di loro non hanno nemmeno quella. Io non devo provare nulla».
Qualcosina da provare ce l’avrebbe invece Guus Hiddink, cacciato dall’Olanda quando ormai l’impresa della mancata qualificazione al primo Europeo a 24 squadre era quasi del tutto realizzata. È lui il traghettatore (già allenatore dei Blues per 5 mesi nel 2009) che il Chelsea avrebbe scelto, in attesa di un sostituto per giugno: Simeone, Mancini e Conte i nomi più gettonati.
Adesso l’obiettivo è allontanarsi dal fondo della classifica e provare ad andare fino in fondo in Coppa di Lega e soprattutto in Champions, dove negli ottavi ci sarà l’incrocio, molto pericoloso, con il Psg di Ibra. Proprio Zlatan poche ore prima dell’addio di Mou, aveva difeso il suo ex allenatore. E se i due si ritrovassero presto assieme a Parigi o a Manchester?
lotito ovunque anche nella foto amorosa di rudi garcia
2 - PALLOTTA CHIUDE CON GARCIA DOPO IL GENOA SI CAMBIA
Matteo Pinci per “la Repubblica”
Mesi di accanimento terapeutico non sono bastati a rianimare un rapporto morto. Stavolta Pallotta ha deciso. La Roma è pronta a cambiare, l’era Garcia è ai titoli di coda: dopo lo strazio tollerato per 12 mesi il presidente, allineato all’umore di una città furiosa, non ne può più. C’era una Roma prima dello Spezia, c’è un’altra Roma dopo: nulla è più come prima, tutti sono convinti che serva un’immediata decisione.
Il paradosso che completa il quadro è però che Pallotta e i dirigenti, pur avendo già deciso l’esonero di Garcia, non possono ancora cacciarlo: non senza avere in mano un’alternativa spendibile con la piazza e con la squadra. Il giorno dopo l’ultima figuraccia, quindi, l’unica novità è un ritiro a singhiozzo, una sorta di semilibertà che prevede solo di dormire tutti insieme - anche dopo la cena solidale di Natale - per avvicinarsi a Roma- Genoa di domenica.
Fino ad allora non cambierà nulla, ma stavolta il destino è segnato. Hanno provato Sabatini e Baldissoni a tenere la spina attaccata, l’idea era arrivare fino all’estate aspettando magari Conte. Poi con lo Spezia la situazione è precipitata e nessuno fa più finta di non vedere. Da lunedì a meno di miracoli servirà un nome nuovo, in grado di dare la scossa nel presente senza far sentire la squadra in vacanza. E che accetti di lavorare con uno staff già definito, dal preparatore Norman ai medici fino ai preparatori, figure volute da Pallotta che oggi non vuole allontanare.
Da ieri sono stati avviati i primi sondaggi. I nomi? Bielsa il primo della lista, suggestione attualissima e fortemente sostenuta dal ds Sabatini. Anche se l’opportunità di prendere in corsa un guru eccentrico e dai metodi rivoluzionari convince poco. Spalletti, in grande ascesa, è la soluzione più facile, accetterebbe lo staff imposto ma lascia dubbi per i rapporti logori con l’ambiente.
Lippi ha ricevuto sondaggi e telefonate da vecchi amici di Trigoria, ma l’idea non decolla e lui giura: «Non mi ha chiamato nessuno». Il crollo però mina anche la stabilità manageriale: Sabatini ha legato il suo destino a quello del tecnico francese e la prossima testa a saltare potrebbe essere la sua. Soltanto a fine stagione però.
Mentre la dirigenza cerca soluzioni, paradossalmente la squadra continua a lavorare con un Garcia sfiduciato. E ora preoccupato dalla degenerazione collettiva: s’è fermato per oltre un’ora a parlare con la squadra, per ascoltarla. Ha chiesto se credesse ancora in lui, quali problemi avverta.
Ma i calciatori sono i primi a non sapere cosa stia accadendo. Qualcuno lamenta la riduzione degli allenamenti imposta al preparatore Norman dal tecnico, vedendo la squadra “stanca”. Altri hanno chiesto programmi personalizzati per lavorare anche a casa. Qualcuno già pensa al mercato di gennaio aspettando un grande club europeo e in campo non fa nulla per nasconderlo. Intanto la Roma affonda: ma per aggrapparsi a un salvagente è costretta ad aspettare ancora.
PALLOTTA GARCIASTRISCIONE CONTRO JAMES PALLOTTA
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