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Nicole Cavazzuti per Il Messaggero
È in arrivo una mostra dal taglio inedito che testimonia come i grandi artisti del passato, i miti pagani e le forme archetipiche siano stati per Keith Haring - padre di tanta street art moderna - una fonte inesauribile d' ispirazione. Inclusa la Lupa Capitolina, simbolo della maternità, della nascita di Roma e dell' origine della cultura del mondo occidentale.
Parliamo di Keith Haring.
About Art, a cura di Gianni Mercurio, dal 21 febbraio al 18 giugno a Palazzo Reale di Milano. Una rassegna di 90 opere dell' artista americano, molte di grandi dimensioni, alcune inedite o mai esposte in Italia (provenienti da collezioni pubbliche e private americane, europee, asiatiche) che per la prima volta sono accostate a una ventina di opere che hanno rappresentato gli stimoli creativi del suo personale immaginario.
Una mostra che sicuramente girerà per l' Europa e che forse arriverà anche a Roma. «Mi piacerebbe che prima di partire per il tour internazionale fosse possibile organizzare una tappa nella Capitale. È un progetto culturale che si autofinanzia, che farebbe bene alla città e che auspicherei venisse ospitato dal Palazzo delle Esposizioni».
Fortemente ancorato alle dinamiche sociali, politiche e linguistiche del suo tempo, il lavoro di Keith Haring è stato letto fino a oggi quasi esclusivamente come espressione di quella controcultura impegnata su temi come droga, razzismo, Aids, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazione delle minoranze e arroganza del potere. Il che è vero, ma parziale. Nato nel 1958, stroncato dall' Aids a soli 31 anni, «Keith Haring ha attinto moltissimo dalla storia dell' arte, si è confrontato con le tematiche e il linguaggio dei grandi maestri del passato e ha tradotto in uno stile personale e originale simboli e figure provenienti da tradizioni iconografiche antiche», sottolinea Mercurio.
«All' interno del percorso espositivo, i lavori dell' artista americano verranno fatti dialogare con le sue fonti di ispirazione, dall' archeologia classica alle arti precolombiane, dalle figure archetipiche ai miti e alle religioni, dalle maschere del Pacifico alle creazioni dei nativi americani, fino ad arrivare ai maestri del Novecento come Pollock, Dubuffet, Klee», puntualizza Mercurio.
L' allestimento, con 110 capolavori, si sviluppa in una quindicina di sale. Il percorso non segue un ordine cronologico, ma esplora i diversi linguaggi artistici dell' artista. Con un' eccezione: la prima sala, dedicata a introdurre il concetto di Keith Haring come neo-umanista.
«Con Ronald Reagan alla Casa Bianca, gli anni Ottanta sono segnati da una sorta di egoismo nel quale lo spazio per la solidarietà sociale viene progressivamente meno. Haring prende le distanze da tutto ciò: indaga la condizione umana, afferma la centralità dell' individuo in un mondo che tende invece a sostituire la sua presenza con le macchine. Ne è testimonianza lampante il pittogramma antropomorfo, sagoma senza volto, che nella sua anonimità rappresenta tanto il singolo quanto l' umanità. E proprio a partire dalla sua visione antropocentrica nasce la rappresentazione dell' uomo con le braccia alzate, ricorrente nel suo lavoro», chiarisce Mercurio.
Che aggiunge: «Fu grazie a questa visione del mondo che a ventotto anni fronteggiò lo shock dovuto alla consapevolezza di aver contratto il virus dell' Aids. Lavorò instancabilmente fino agli ultimi giorni di vita. Incredibilmente, trovò nel concetto di fine uno dei motivi del proprio lavoro.
L' esempio più pregnante di questa visione è Unfinished Painting, ultimo di cinque dipinti, realizzato nell' estate del 1989 dopo un viaggio in Marocco, a pochi mesi dalla morte. Ispirato agli arabeschi, questo dipinto è un ibrido stilistico che amalgama astrazione e naturalismo.
Qui Haring dipinge solo un quarto dell' opera, l' angolo in alto a sinistra, di cui delinea nettamente il limite nei bordi della tela e simula le sgocciolature di colore verso il basso, evocando così le dinamiche dell' Action Painting. Il senso di sospensione dato all' opera dal non finito apre così alla narrazione: di ciò che è accaduto, di ciò che non accadrà, del divenire negato. In questo, come in altri dipinti precedenti, Haring rapporta il non finito alla ciclicità della vita, all' immortalità, al senza fine». Il ruolo di Haring nella storia dell' arte contemporanea è un dato acquisito. «Ma la sua singolarità non risiede tanto nell' impegno di attivista, certamente significativo, quanto nel progetto neoumanista che quest' impegno sottende», conclude Mercurio.
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