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MARIO SCONCERTI per il Corriere della Sera
Siamo tra le prime quattro squadre d'Europa prima ancora che si giochino gli Europei. È una contraddizione ma è una buona notizia, non ne avevamo da dieci anni. Perché è vero che Ventura esagerò non facendosi ammettere ai Mondiali, ma eravamo andati malissimo anche nei due Mondiali precedenti. Mancini guida questa squadra da due anni e mezzo, debuttò a San Gallo, tra gli emigranti della Svizzera tedesca contro l'Arabia Saudita, avversario insolito. Vinse di misura.
Di quella squadra sono rimasti nella formazione iniziale di ieri solo Donnarumma, Florenzi e Insigne. Ma se andiamo a cercare negli undici di Ventura che pareggiarono con la Svezia (Buffon, Chiellini, Gabbiadini, Parolo, Barzagli, Candreva, Darmian) troviamo una generazione quasi dimenticata.
Mancini ha fatto quello che solo Bearzot e Lippi hanno saputo fare, dare un gioco da club a giocatori non suoi, che è vietato allenare. La sua Nazionale è inferiore a quella di Lippi, ma gioca meglio. Mancini non è l'allenatore più bravo del mondo, è fondamentalmente un artista solitario, schivo, ma è stato uno dei primi a capire la curva del calcio moderno.
Pensava come oggi quarant' anni fa quando debuttava nel Bologna. E ha avuto la fortuna di essersi trovato al fianco un'altra diversità profonda, quella di Vialli, più istintiva, positiva, ricca, felice. Uno è stato la scossa e la riflessione dell'altro. E tutti noi siamo rapidamente diventati la conseguenza della loro amicizia. La loro Nazionale è di tutti, non ha blocchi, non ha uno juventino, due soli interisti, lo stesso numero del Sassuolo.
Scavalca il tifo di tutti i giorni, diventa soltanto Italia. E gioca bene, come non si vede giocare in campionato. In questo momento ci sono solo due squadre certamente migliori, Francia e Belgio, squadre meticce, garanzia di completezza e diversità. Ma non ricordo una Nazionale di cui tutti siano stati così convinti. La Nazionale divide sempre, è facile essere contro l'Italia.
Oggi guardi, non giudichi. Non puoi dire niente. Nel silenzio si avverte che sta crescendo qualcosa di diverso, come un piccolo Natale dell'anima. E allora, anche in questo tempo infame, il vecchio Paese del calcio si rimette in fila davanti al presepe.
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