antonio riello imperial war museum

QUANDO LO STUPRO È UNA STRATEGIA DI GUERRA – ANTONIO RIELLO: “LA MOSTRA ‘UNSILENCED: SEXUAL VIOLENCE IN CONFLICT’, ALL’IMPERIAL WAR MUSEUM DI LONDRA, CERCA DI ILLUSTRARE COME LA VIOLENZA SESSUALE SIA STATA (E ANCORA SIA DI FATTO) UNA VERA E PROPRIA ARMA” – LE VIOLENZE DELLE TRUPPE DEL KAISER IN BELGIO, GLI STUPRI DI MASSA DI NANCHINO E QUELLI DEI FRANCESI NEL LAZIO DOPO LA ROTTURA DEL FRONTE A CASSINO, COME NEL FILM “LA CIOCIARA” (COLPEVOLMENTE ASSENTI NELLA MOSTRA LONDINESE)

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Antonio Riello per Dagospia

 

antonio riello

L’Imperial War Museum di Londra ha in genere un pubblico di scolaresche, di fanatici della Seconda Guerra Mondiale e di appassionati di Storia (magari anche un po’ nerd). Non rientra tra le mete di primario interesse per chi appartiene al mondo dell’Arte.

 

Ma le guerre tornano a farsi sentire anche in Europa. Sembrano ritornate tragicamente di moda. Forse l’IWM allora ha le sue buone ragioni se continua ad occuparsene fin dal 1920 (fino al 1936 era ospite di un altro edificio).

 

Nato per raccontare le vicende delle guerre che hanno coinvolto le truppe britanniche, ha raccolto nel tempo cimeli e oggetti da molti campi di battaglia. Dispone di una importantissima collezione di quadri e disegni che documentano i conflitti moderni e ha un suo attivo dipartimento artistico.

 

mostra unsilenced all imperial war museum di londra 10

I linguaggi artistici possono (e sanno) interagire con le emergenze - anche quelle belliche - dei nostri tempi.  Nel 2018 il progetto “The Age of Terror” aveva interessato una trentina di artisti internazionali di alto livello e nel 2020 la sala principale dell'IWM aveva accolto una importante installazione di Ai Wei Wei, “History of Bombs”.

 

I media e la politica evocano sempre più spesso le parole “genocidio” e “sostituzione etnica”. Uno strumento antico, per cancellare geneticamente l’avversario, è quello di costringere - attraverso la violenza sessuale - le donne del nemico a partorire figli dell’invasore.

 

E’ il tentativo di forzare un cambiamento genomico in una popolazione avversaria. In alcuni casi studiato a tavolino dai comandanti militari. Altre volte frutto dell'indisciplina e della malvagità del singolo soldato.

 

mostra unsilenced all imperial war museum di londra 9

La mostra “UNSILENCED: SEXUAL VIOLENCE in CONFLICT” indaga su questa diabolica pratica. E cerca di illustrare, più in generale, come la violenza sessuale sia stata (e ancora sia di fatto) una vera e propria arma di guerra, usata contro le donne del nemico di turno. Lo fa indagando un lasso di tempo cha va dalla Prima Guerra Mondiale fino ad oggi.

 

Il progetto inizia con le violenze che le truppe del Kaiser praticarono contro la popolazione femminile belga nel 1914, quando la Germania invase il Belgio (per arrivare in Francia). E’ forse il primo caso documentato di questo genere. Rimane comunque un episodio ancora adesso abbastanza discusso.

 

Difficile capire se furono una serie di casi isolati o una pratica di massa, istituita per terrorizzare la popolazione civile. La propaganda anglo-francese strumentalizzò comunque questi episodi. Nacque in questo caso l’espressione “i nuovi Unni” attribuita alle armate germaniche.

 

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Un altro tragico capitolo è quello degli stupri di massa di Nanchino perpetrati dalle truppe giapponesi nel 1937 a danno della popolazione civile cinese. I numeri sono impressionanti: circa centomila casi di violenze in pochi giorni.

 

Ma la cifra delle vittime rimane incerta, potrebbe essere anche molto più elevata. Sempre i giapponesi nel corso dell’occupazione dell’Estremo Oriente (tra il 1939 e il 1945) obbligarono le donne del luogo (in particolare le coreane) a lavorare come schiave sessuali nei bordelli dell’esercito imperiale. Il termine ufficialmente usato per queste creature - suona come un offensivo e spaventoso eufemismo - era “comfort women”.

 

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Questa vicenda, ancora adesso, è un ricorrente elemento di polemica tra la Corea del Sud (che chiede scuse formali e risarcimenti alle superstiti) e il Giappone (che non riconosce ufficialmente questa tremenda responsabilità storica).

 

E’ poi la volta della violenza collettiva opera dei soldati sovietici nel corso della loro avanzata nei territori orientali del Terzo Reich, fino a Berlino. Le cifre, anche in questo caso non sono definitive, ma si parla di molte migliaia di casi. Una vicenda che poi nella Repubblica Democratica Tedesca passò sotto silenzio.

 

Non c’è traccia in questa mostra (ed è una mancanza oggettiva) di quanto accadde nel Lazio nel Maggio del 1944 dopo la rottura del fronte a Cassino. Le truppe coloniali francesi, al comando del generale Juin, risalendo la penisola commisero delle violenze di gruppo inaudite nei riguardi delle civili italiane. La “Ciociara” (il film di De Sica, con una bravissima Loren che appunto viene bestialmente “marocchinata”) narrava questa vicenda. I curatori della mostra avrebbero dovuto - e potuto - almeno citarlo.

 

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Anche la vendetta sugli invasori sconfitti la si fa comunque pagare all'altra metà del cielo. In Francia dopo la sconfitta nazista, alle donne che avevano avuto una relazione con i tedeschi vennero spesso sottoposte ad umilianti processi. Rasate a zero, denudate, picchiate (anche violentate saltuariamente) pagarono quasi da sole il conto di un collaborazionismo che in realtà coinvolse quasi tutto il paese.

 

Si arriva, passando attraverso la ferocissima guerra civile in Bosnia-Erzegovina, alle vicende delle donne yazide che nel 2014 sono state rapite e usate come schiave multiuso dai combattenti dell’ISIS. Che le consideravano, in quanto “infedeli”, come legittimo bottino. Il tutto con l’approvazione delle loro mogli, che al bisogno le usavano come serve in casa.

 

La servitù, soprattutto quando non la si paga, torna sempre essere cosa gradita, anche tra gli integralisti più zelanti. Ci sono anche delle testimonianze sugli abusi in corso attualmente nella guerra civile del Sudan. Una tragedia che coinvolge molte migliaia di casi, e di cui davvero si scrive e si parla troppo poco. Non è che, siccome si tratta di maschi africani che abusano di africane, sia un crimine meno grave.

 

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Una vittima senza sponsor mediatico è invisibile, scompare come se non fosse mai successo niente.

 

Molto materiale riguarda poi gli aspetti giuridici (complicati e perfino imbarazzanti) che hanno portato ad alcuni processi per punire i responsabili di questo tipo di violenza. Per le vittime testimoniare non è affatto una cosa semplice ed indolore.

 

Un'altra consistente parte di documenti riguarda l’aspetto “patriarcale” della guerra. Cosa abbastanza ovvia a tutti (anche senza ricorrere necessariamente ai soliti rituali del linguaggio woke), già l’Odissea e l’Iliade erano molto chiare su questo punto. La “preda di guerra” ha quasi sempre incluso le mogli, le sorelle e le figlie dell’odiato avversario.

 

Le femmine della specie umana sono state, in un contesto bellico, quasi sempre equiparate ad animali o cose. E questa attitudine sembra, scandalosamente, non riesca a cambiare neanche nel 2025. Nella sezione finale vari manuali forniti ai militari con lo scopo di comunicare con le donne dei paesi occupati: gli stereotipi sessisti più banali e retrivi trovano ampio credito.

 

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Alla psicologia del violentatore di guerra e’ dedicata una saletta. E’ sconvolgente come molti uomini, una volta che indossano un’uniforme, si trasformino. Stevenson nel suo "Il Dottor Jekyll e Mr. Hyde" sembra fare riferimento proprio a questo tipo di schizofrenia comportamentale. I maschi si sentono parte di un gruppo (il tossico concetto della “band of brothers”) che annulla la responsabilità individuale.

 

Il branco fa diventare temerari anche i pavidi. E la colpa delle cose più tremende (che in abiti borghesi nessuno penserebbe nemmeno di immaginare) si diluisce tra tutti i perpetratori. La violenza sulle femmine dei perdenti appare, in questa logica, come un atto abbastanza “normale”. Dei "trofei", quasi una forma di risarcimento per la fatica e il rischio. A questo sembra servano le divise: dare coraggio a chi le indossa e suscitare paura a chi le vede passare. Non sono stati così tanti, nella Storia, i soldati gentiluomini.

 

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Va chiarito che questa volta sono poche le opere d’Arte. Spicca un bel quadro di Albert Adams del 2006 sugli abusi in Iraq. E anche l'opera grafica di Kim Ch'ang-su e la scultura di Kim Seo-kyung, entrambi coreane. E’ una mostra piena di testi, lettere, documenti, manifesti, fotografie. Ma soprattutto ricca di interviste e testimonianze, sia video che vocali.

 

Le storiche coinvolte sono: Christina Lamb, Zeynep Kaya, Sarah Sands e Charu Lata Hogg. Hanno collaborato alla realizzazione molte associazioni internazionali che hanno lo scopo di proteggere e di assistere legalmente le vittime. E' un progetto che dovrebbe essere esportato, pubblicizzato e visto (soprattutto dai maschi che giocano alla guerra).

 

UNSILENCED: SEXUAL VIOLENCE in CONFLICT

Imperial War Museum London

Lambeth Road, Londra SE1 6HZ

fino al 5 Novembre 2025

 

mostra unsilenced all imperial war museum di londra 2