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Matteo Aglio per “la Stampa”
A Valentino dopo il capolavoro a Misano – il numero 107 di una carriera quasi ventennale – è concesso tutto. Anche scherzare con i santi: «Quando sono salito sul gradino più alto del podio e ho visto i tifosi sotto di me, mi sono sentito come il Papa. Ero commosso», ha sorriso. La sua non è stata solo una vittoria, ma una prova di forza, un lampo di luce dopo una notte durata troppo a lungo.
Rossi non è un semplice pilota, ma il simbolo del motociclismo, colui che ha trasformato il suo sport, miscelando carisma e velocità. Ma rimane pur sempre un uomo, che ha sbagliato e ha avuto la forza di risollevarsi. A 35 anni (18 dopo la sua prima vittoria nella 125, il 18 agosto 1996 a Brno), il suo lavoro è ancora sfrecciare a oltre 350 km/h.
Non è una sorpresa per lui, che ha ripensato a cinque anni fa, all’ultima vittoria a Misano, sempre su Lorenzo, con un distacco simile a quello di ieri. «Sono successe tante cose da quel momento, non tutte belle». Si riferisce agli infortuni, al dolore che ha dovuto sopportare, alla scommessa persa con Ducati, alle delusioni, al ritorno con Yamaha, fino al recente cambio di guida nel suo box.
Avrebbe potuto rinunciare, non aveva più nulla da dimostrare e invece «non mi sono mai arreso, ho sempre creduto di potercela fare. Anche nel corso di questa stagione, a un certo punto ho pensato di non riuscire a vincere ma poi mi sono detto che Marquez avrebbe avuto un momento difficile e io sarei stato nella posizione per approfittarne», ha spiegato.
Non ha ascoltato chi gli dava «del vecchio», ha continuato ad allenarsi e a modificare il suo stile e il suo metodo di lavoro. Una lunga preparazione, fino all’esplosione di ieri. Il mondo delle moto ha ritrovato il suo eroe e anche i rivali gli hanno reso omaggio. «Ho guidato dietro di lui, è semplicemente incredibile. Devo togliermi il cappello di fronte a lui», sono state le parole di Marquez. Anche lui ha riconosciuto la forza dell’eterno ragazzo, partito da un piccolo paese a pochi chilometri dalla pista da Misano per conquistare il mondo. Vi ha fatto ritorno dopo più di 18 anni da vincitore e il suo cammino non è ancora finito.
Alla MotoGp serve ancora il suo eroe e a Valentino servono le corse. Quella «botta di adrenalina», come l’ha descritta, che lo fa sentire vivo, migliore, il più forte. Il campionissimo non si è mai guardato alle spalle e, anche ieri, ha puntato gli occhi verso nuovi traguardi. «Da qui a fine stagione voglio salire sempre sul podio» ha dichiarato, ma è solo un primo obiettivo. Perché rimangono altri due anni, per inseguire altri record, per incantare i suoi tifosi, per vincere ancora. «Se mi chiedete se penso a un altro titolo, vi rispondo di sì. È normale, non c’è pilota che non lo faccia. Alla fine dei conti, quello che veramente mi interessa è essere veloce fino all’ultima gara che correrò».
Non è la dichiarazione ad effetto di uno sportivo che cammina fra le ombre sul viale del tramonto, ma di chi si sente «nel migliore momento della carriera. Più forte di quando vincevo undici gare a stagione». Non c’è traccia di una goffa falsa umiltà nelle sue parole, ma la constatazione della realtà. Gli anni sono passati anche per il Dottore, i suoi avversari si sono evoluti. Sono più professionali, più concentrati. Valentino ha dovuto cambiare, trasformarsi per non diventare obsoleto. Non gli interessa un rispetto figlio di quello che ha fatto in passato, vuole incutere ancora timore. Essere quell’animale da gara che giocava come il gatto col topo, quel cannibale con il sorriso da bravo ragazzo.
Come ieri, con i ricci appiccicati di spumante e un’altra coppa alle spalle. Lo ha aiutato una pista che ama e interpreta alla perfezione e una Yamaha che si adatta come un guanto a quelle curve. Il talento, quello che non invecchia mai, lo ha messo lui. «Marquez è caduto, ma avrei vinto comunque», ha detto senza strafottenza. Nessuno lo ha contraddetto. Basta rivedere la lotta con il piccolo diavolo nei primi giri per sapere che non mentiva. Lunga vita al re, allora, perché il sovrano della MotoGp non ha intenzione di lasciare il trono senza lottare.
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