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IL "MONDO" NON SI E’ FERMATO MAI UN MOMENTO - SCONCERTI ESALTA "LA RIVOLUZIONE ARTIGIANA" DI MONDONICO: "AVEVA VOGLIA DI INVENTARE. HA FATTO TANTO, AVREBBE MERITATO DI PIÙ" – ALDO GRASSO E QUELLA SEDIA ALZATA AL CIELO NELLA FINALE UEFA: "LUI LA DEFINI’ UN’IMMAGINE SIMBOLO DEL TORO PERCHÉ UNA SEDIA NON È FUCILE MA ARMA DA OSTERIA”
Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
Ci sono stati lunghi momenti in cui Mondonico era avviato a diventare uno dei grandi innovatori del calcio all' italiana. Eravamo sospesi fra Trapattoni e Sacchi, Mondonico era una cosa a parte, assomigliava più alla freschezza duttile di Bagnoli, aveva voglia di inventare. Amava il calcio buono, di qualità, ma poche volte ha avuto le squadre corrette per farlo.
Così cercava di gestire le partite con l' intelligenza.
Aveva una visione per tutto il calcio e una singola per ogni partita. Amava pensare il gioco, sentiva che gli altri andavano spesso a memoria su metodi vecchi. Lui aveva mille idee e le usava come lame.
Vedeva il gioco in modo verticale, per linee diverse, per spazi mai occupati. Mondonico era un rivoluzionario nato che non poteva fare la rivoluzione. Questo lo faceva soffrire e credo che alla lunga abbia reso più amaro anche il suo modo sottile di pensare. La sua conversazione con il grande calcio è stata spesso interrotta. Aveva pochi rivali nell' uno contro uno, nella partita secca, decisiva. Perché aveva più trappole, s' inventava soluzioni dovunque. Ma avrebbe voluto respiro per costruire qualcosa che fosse studiato, tramandato, ufficialmente acclamato.
Perché aveva un calcio infinito dentro di sé. Era un anarchico pensieroso, cavilloso, un artista che andava spinto oltre i suoi limiti, toccava invece a lui spingere gli altri. Il suo giocatore classico è stato Fusi, un mediano intelligente, ma accanto gli metteva Scifo e Venturin, un centrocampo che oggi sarebbe quasi da Juventus.
È sempre stato sospeso tra una vita di cose semplici e il piacere di vedere affermate le sue qualità di maestro. Ma dovunque è stato ha creato imprese, dalla Cremonese, all' Atalanta, al suo Torino che resta l' ultimo ad aver vinto un trofeo, perfino alla Fiorentina che ha riportato in A con uno spareggio giocato tatticamente tutto sull' avversario. Ha fatto tanto, avrebbe meritato di più. Ma se negli anni 80-90 il calcio ha costruito la sua modernità fino a diventare quasi soltanto uno spettacolo, abbastanza lo deve anche alle rivoluzioni artigiane di Mondonico.
LA SEDIA SOLLEVATA
Aldo Grasso per il Corriere della Sera
Lo sappiamo bene noi del Toro: l' immagine-simbolo del granatismo è la sedia alzata verso il cielo nello stadio di Amsterdam. In panchina c' era Emiliano Mondonico, era il 13 maggio del 1992 quando al Toro di Martin Vasquez, Cravero e Lentini sfuggì sul più bello la Coppa Uefa.
Il tecnico, furibondo per gli errori dell' arbitro a favore dell' Ajax e per tre legni colpiti dal Toro, brandì minacciosamente una sedia, sfogando la sua rabbia in un gesto memorabile. L' occasione fu la mancata assegnazione di un rigore per un fallo su Cravero, buttato giù in area dopo un intervento di Frank De Boer. La partita finì 0-0, ma gli olandesi si aggiudicarono la Coppa in virtù del risultato della partita d' andata, finita 2-2.
Da quella sera, quel gesto, quella sedia alzata al cielo sono diventati un coro che i tifosi del Torino cantano dopo ogni colpo di sfortuna, dopo ogni ingiustizia subita dalla loro squadra: «Emiliano alza la sedia, alza la sedia per noi».
E fu lo stesso Mondonico a dare un senso al suo gesto: «Quella sedia è il simbolo di chi tifa contro tutto e tutti. È il simbolo di chi non ci sta e reagisce con i mezzi che ha a disposizione. È un simbolo-Toro perché una sedia non è un fucile, è un' arma da osteria».
Come può una sedia diventare un simbolo? Negli spiccioli della psicologia, il significato simbolico della sedia è strettamente collegato agli attributi di potere e autorità, e può mettere in evidenza il desiderio di emergere, oppure uso e abuso di autorità. Per noi del Toro, era un gesto contro l' arbitro e l' arbitrio, ma nella storia granata è ora un atto di ribellione, di chi tifa contro quella sovrannaturale sfortuna con cui spesso bisogna fare i conti.
Nel novembre del 2010, in trasferta sotto la Mole alla guida dell' AlbinoLeffe, Mondonico volle che i suoi giocatori visitassero a Superga il monumento al Grande Torino. Per respirare il mito granata e spiegare ai suoi il valore immenso di quella maglia. All' ingresso in campo, poi, non riuscì a trattenere le lacrime: la Maratona lo acclamò e lui ricevette il tributo tra i singhiozzi, tradendo la riservatezza di chi è nato in provincia. Fu l' ultima volta che alzò la sedia. Almeno qui, fra noi indiani.
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