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Tommaso Farina per “Libero Quotidiano”
PIETER AERTSEN BANCO DI MACELLERIA
Nature morte, cascate di frutta e verdura, perfino quarti di carne appesi in macelleria. Il cibo, il mangiare, sono sempre stati temi che sugli artisti esercitarono grandissima suggestione. Ma cosa mangiavano gli artisti che dipingevano certi quadri che arrivano a far percepire un godimento fisico al cospetto di certe ghiottonerie? È una vera indagine epocale sul gusto.
Nemmeno a farlo apposta, nell' ambito del Piccolo Festival dell' Essenziale che ha avuto luogo a Milano, al centro francescano Rosetum di via Pisanello si è svolto un piccolo aperitivo guidato da Beatrice Buscaroli, simpaticissima critica d' arte emiliana. «Dall' ovo all' agnello: cosa mangiavano gli artisti mentre dipingevano i capolavori». Divagazioni artistiche e piccoli assaggi.
Ma come si può scoprire, indagare un tema ritenuto, a torto, così "corporale", così poco importante? «Nelle loro biografie, gli artisti sono abbastanza parchi e avari di particolari sulle abitudini alimentari, tranne qualche eccezione», spiega Beatrice Buscaroli, che precisa: «Di più si può trovare nelle loro lettere, negli epistolari, nella corrispondenza. Magari, perfino nelle ricevute dei conti pagati, a volte ci sono rimaste anche quelle». E così, scopriamo dettagli interessanti: «Michelangelo era abbastanza parsimonioso, quasi ascetico.
Del resto, gli artisti itineranti, tra un viaggio e un lavoro, non pensavano al cibo. Poi Michelangelo si schermiva molto: considerava il mangiare un atto non conviviale, ma strettamente privato.
Non stupisca di vederlo cenare a pane e acqua». In effetti, a Casa Buonarroti è gelosamente conservata una lista di compere del grande artista, che cominciava chiedendo due pagnotte, per poi proseguire con tortelli, aringhe, spinaci, vino, alici e minestra di finocchio. Tutti ingredienti corredati da piccoli disegni esplicativi. Cibi molto semplici, nessuno sfarzo. Data: 15 marzo 1518.
VINCENZO CAMPI LA FRUTTIVENDOLA
BANCHETTI E OSTERIE
E Leonardo? Il poliedrico genio toscano, secondo alcune fonti più o meno leggendarie, aprì addirittura un' osteria a Firenze, Le Tre Rane. Socio nell' impresa? Il Botticelli. Più plausibilmente, come la Buscaroli ci ricorda, «Leonardo alle corte in cui capitò ebbe spesso il compito di allestire banchetti. E molti anni dopo, a Gian Lorenzo Bernini, nello Stato Pontificio, fu chiesto di disegnare delle torte».
Tuttavia, uno dei più grandi maniaci del cibo e dell' alimentazione fu il Pontormo, al secolo Jacopo Carrucci. L' autore del Vertumno e Pomona alla Villa Medicea di Poggio a Caiano (Prato) era tanto metodico da tenere un minuziosissimo diario, con tutti i pasti consumati. Guardate un po': «Adì 11 di marzo 1554 in domenica mattina desinai con bronzino pollo e vitella \ La sera cenai un poco di carne secha arosto che havevo sete e lunedì sera cenai uno cavolo e uno pesce d' uovo». O ancora: «Mercoledì sancto sera 2 q\i di mandorle e uno pesce d' uovo e noce».
L' uovo, sempre l' uovo: il Pontormo non se lo faceva mai mancare, almeno una volta al dì.
E artisti più moderni? Ci affidiamo ancora a Beatrice Buscaroli: «Cézanne era innamorato delle acciughe. Il cibo della sua predilezione erano tartine fatte con acciughe e melanzane».
LA LISCA DI PABLO
E poi Picasso. Picasso amava tanto la cucina, che a Barcellona hanno perfino dedicato una mostra all' argomento. Durerà fino al 30 settembre: fino ad allora, potrete ammirare chicche come il medesimo pittore che, coi capelli bianchi, nel 1957 "attaccava" una splendida sogliola alla mugnaia lasciandone solo le lische, in una sequenza fotografica immortalata da David Douglas, giornalista di Life.
MANGIATORI DI RICOTTA VINCENZO CAMPI
Da quella spina nacque Tauromachia e lisca di sogliola: appena finito il pranzo, il sommo catalano tornò col blocco d' argilla che gli serviva alla bisogna. E non si limitava al pesce. Tra i ricordi più ghiotti di Picasso, ci fu sempre la butifarra: una particolare salsiccia catalana di maiale, la cui morte è coi fagioli. E così lui la prediligeva. Anche loro erano uomini, devoti al peccato di gola. Meglio di Van Gogh, che si avvelenò succhiando i colori dal tubetto.
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